L’uomo senza sonno (2004)
In occasione della Settimana della salute mentale 2020 ho pensato di recensire un film che vidi qualche anno fa, e che mi rimase impresso nella mente per più di una ragione. Sto parlando de “L’uomo senza sonno” (“The Machinist”) del 2004, regia di Brad Anderson. Si tratta di un thriller caratterizzato da atmosfere cupe, e da musiche inquietanti composte niente meno che da Roque Baños, le quali contribuiscono perfettamente nel conferire alle scene quell’aura ansiogena che fa de “L’uomo senza sonno” un film memorabile. Ad essere raccontato è il dramma personale del protagonista Trevor Reznik –impersonato dal grandissimo Christian Bale–, un uomo pallido, scheletrico, con il viso solcato da nerissime occhiaie.
Il film si apre con un flash forward che ci mostra il protagonista, nel cuore della notte, intento a gettare in mare un tappeto nel quale è presumibilmente avviluppato un cadavere. Mentre Trevor tenta di occultare le prove di quello che pare essere un omicidio, qualcuno gli si avvicina puntandogli una torcia e chiedendo chi sia, sul punto di scoprire ciò che Trevor è intento a nascondere. Nella scena successiva Trevor è a casa, non sappiamo cosa sia accaduto all’uomo che lo stava avvicinando. Tuttavia, un’inquadratura dirige la nostra attenzione su una torcia giacente sul tavolino del salotto, spingendoci a pensare che forse Trevor abbia commesso un secondo omicidio. L’uomo si riflette nello specchio del bagno, notando dietro di sé un biglietto con su scritto: “Chi sei?”. Ed ecco che siamo catapultati al prologo della vicenda. Fin da subito ci viene mostrato un uomo triste e solo, intrappolato in una vita insoddisfacente, e frustrato da un lavoro alienante. Nonostante i problemi economici e la mancanza di affetti stabili, Trevor trova un po’ di refrigerio nella frequentazione di una prostituita, Stevie, che ai suoi occhi appare come un rifugio, un porto sicuro; con Stevie si confida, arrivando a svelarle di non chiudere occhio da addirittura un anno.
Frequenta inoltre un bar di periferia, dove ogni sera incontra una cameriera, Marie, una madre single con la quale ama chiacchierare e flirtare. Dinanzi a Marie, Trevor sembra diventare un’altra persona: si
rianima, scherza, fa mostra di un carattere inedito, socievole ed estroverso. Riesce addirittura ad ottenere un appuntamento con la donna, che lo invita a passare la Festa della Mamma al lunapark con lei ed il figlio Nicolas. Di forte impatto è la sequenza che ci mostra Trevor ed il ragazzino su una giostra a dir poco inquietante – sulla cui sommità si erge illuminata l’insegna “Route 666”–, mentre Marie è impegnata in una telefonata con l’ex marito. Durante il percorso in quella “casa del terrore” che conduce all’inferno, Trevor si imbatte in alcune raccapriccianti scene che sembrano essere tratte dalla sua vita recente e passata, fino a giungere di fronte ad un bivio: “strada per l’inferno” e “strada per la salvezza”.
Sebbene Trevor voglia prendere la strada per la salvezza, Nicolas, con il volante in mano, vira inevitabilmente verso l’inferno. Alla fine del viaggio, il ragazzino perde i sensi in preda ad un attacco epilettico, gettando nel panico un Trevor già profondamente scosso dall’esperienza surreale appena sperimentata.
La vicenda inizia ad infittirsi quando Trevor, nel parcheggio, incontra un nuovo operaio della fabbrica in cui lavora, un certo Ivan, a bordo di una decapottabile rossa fiammante. Trevor sta fumando nella sua auto –tentando di regolare il portacenere del cruscotto, che sembra dagli dei problemi–, quando, d’un tratto, lo sconosciuto gli rivolge la parola. Ivan è un uomo corpulento, dall’aspetto terrificante e dall’umorismo macabro. Ci viene presentato sotto un’aura minacciosa, a partire dallo spaventoso ghigno che in più occasioni rivolge all’inqueto protagonista. A convincerci della sua natura malvagia, è la scena in cui Trevor, durante un turno in fabbrica, nota Ivan indirizzargli il terrificante gesto della decapitazione. È in quell’istante che Trevor, spaventato, sbadatamente inciampa sull’interruttore del
macchinario al quale è affiancato mettendolo in movimento, e tagliando in due il braccio sinistro di un collega, Miller.
Da questo momento Trevor non riesce più a darsi pace. A casa trova biglietti strani, che non è stato lui a scrivere, in cui è rappresentato il giochino dell’impiccato ed una frase da completare che termina in “er”. Per giunta, in fabbrica, gli viene detto che non esiste nessun operaio di nome Ivan. Ad un certo punto, come ciliegina sulla torta, Trevor si ritrova a lavorare con un macchinario, che azionandosi inspiegabilmente, per poco non gli trancia il braccio, esattamente come era capitato allo sfortunato Miller. Trevor inizia a pensare che alle sue spalle sia in atto un complotto. Man mano che il film prosegue, il protagonista si impegna nella ricerca dei plausibili cospiratori. Completando la frase dell’impiccato con la parola mother, inizia a pensare che a lasciargli i biglietti sia la cameriera e amica Marie. Incolpa poi il collega mutilato Miller, accusandolo di dargli il tormento per il solo gusto di vendicarsi. Nota inoltre la macchina rossa di Ivan allontanarsi dalla casa del collega. Si lancia quindi nel suo inseguimento, non curandosi dei semafori rossi che, inspiegabilmente, sembrano sempre volerlo bloccare ogni volta che sta per raggiungere Ivan. Pur perdendo le tracce dell’auto rossa, Trevor riesce ad appuntarsi la sequenza della targa.
Tuttavia, al commissariato fa una scoperta sconvolgente: la macchina che stava inseguendo è in realtà intestata a lui, che anni prima ne aveva denunciato la demolizione in seguito ad un incidente. La polizia gli chiede spiegazioni, ma Trevor, sotto shock, scappa, calandosi nelle fognature per sfuggire agli inseguitori. Ed è qui che si imbatte
nuovamente in un bivio, proprio come nella scena della giostra: si trova di fronte ad un cunicolo illuminato e ad un altro completamente invaso dalle tenebre. All’improvviso, nel tunnel illuminato, vede delinearsi una sagoma conosciuta –quella di Ivan–, e per la seconda volta, Trevor, sceglie di addentrarsi nell’oscurità. Giunto a casa dell’amorevole Stevie, alla ricerca di riparo e sicurezza, trova una foto che ritrae Ivan e Miller insieme a pesca. L’ira di Trevor ricade ora sulla prostituta, che gli rivela di non vedere nessun “Ivan” nella foto, bensì di vedere lui. In quel momento realizziamo qualcosa che già avevamo intuito: Trevor ed Ivan sono la stessa persona. Trevor stesso sembra averlo capito, pur intestardendosi nel non volerlo accettare. Il protagonista sembra voler scappare a tutti i costi dall’evidenza; da una verità che non vuole ammettere a se stesso, preferendo continuare a credere nel complotto. Scappa nuovamente, diretto verso un altro luogo in cui crede di trovare rifugio da una realtà che orami sta venendo inesorabilmente a galla. Giunge quindi al bar in cui lavora Marie, ma qui non la trova, e quando chiede di lei ad una vecchia barista, la donna gli risponde che non c’è mai stata nessuna cameriera con quel nome. Arrivati all’epilogo, vediamo Trevor arrivare di fronte a casa, ed assistere all’intrufolamento di Ivan, insieme al figlio di Marie, nella sua abitazione. Trevor lo raggiunge, intento a salvare il giovane. La successiva scena del dialogo fra Trevor ed Ivan è da pelle d’oca. Lo scambio
di battute fra i due ci induce a credere che Nicolas abbia fatto una brutta fine. Ormai giunto al limite della sopportazione, Trevor si lancia su Ivan forte di tutta l’ira e la frustrazione accumulate, tagliandogli brutalmente la gola. Alla ricerca del ragazzino, nota sconcertato il frigorifero traboccare sangue, sul punto di scoppiare. Ci aspettiamo di trovarci di fronte alla scena raccapricciante di Nicolas sgozzato, magari tagliato a pezzi. Ma scopriamo che il frigorifero contiene del pesce, un chiaro cenno alla fotografia che mostra Miller e Trevor a pesca; l’ennesimo richiamo al doloroso trascorso di Trevor, un passato che il protagonista vorrebbe cancellare dalla sua mente, ma che riaffiora in continuazione come uno scherzo del subconscio. L’elemento surreale del film invade prepotentemente la scena. È in questo momento che si arriva al punto di giuntura con il flash forward iniziale: Trevor è davanti al mare, imbracciando il tappeto con il cadavere di Ivan.
Un uomo gli si avvicina con la torcia, chiedendogli chi sia. Trevor tenta di sbarazzarsi del cadavere prima che lo sconosciuto lo raggiunga, ma il tappeto si srotola sugli scogli, e scopriamo che dentro non c’è nulla. Intanto l’uomo lo raggiunge: è Ivan, che sfoggia ancora una volta il suo ghigno beffardo. Nelle scene finali Trevor si guarda allo specchio e dietro di sé vede Ivan. Sa di non potersene sbarazzare; è riuscito ad accettare che Ivan è il suo alter ego, la sua parte occultata. Ha finalmente realizzato qual è la parola che finisce per “er”: non mother, né Miller, bensì killer. Ed ecco che finalmente un flashback ci mostra cosa si cela nel passato del protagonista; un uomo ormai esausto, rassegnatosi nel dover accettare la dura realtà di un passato traumatico, segnato dal senso di colpa, che avrebbe voluto obliare nelle tenebre del subconscio. Nel flashback, un Trevor più giovane, magro ma in salute, sta guidando la sua decapottabile rossa fiammante con la sigaretta fra le labbra. Sbadatamente rivolge l’attenzione al portacenere del cruscotto, senza accorgersi che il semaforo è diventato rosso. La macchina continua nella sua corsa, mentre un portachiavi con la scritta “Route 66” oscilla pendente dallo specchietto retrovisore frontale, componendo la sequenza “666”. Ed ecco l’inevitabile: la distrazione costa a Trevor un brutto scherzo. La decapottabile investe in pieno un bambino sulle strisce perdonali. Vediamo la cameriera Marie correre verso il bambino esanime, Nicolas. Sotto shock, Trevor scappa senza lasciare traccia, distruggendo la macchina per occultare qualsiasi prova dell’omicidio. Per Trevor è giunto il momento di fare i conti con il suo passato; con un senso di colpa, impersonato da Ivan, che non lo lascia dormire da più di un anno. Nelle ultime scene il protagonista decide di denunciarsi alla polizia, e nel momento in cui giunge in cella, finalmente riesce ad abbandonarsi in un sonno profondissimo.
Per la Settimana della salute mentale ho scelto di recensire “L’uomo senza sonno” in ragione della maestria con la quale Brad Anderson e Christian Bale, a pari merito, hanno rappresentato lo stato di degenerazione psico-fisica che può portare un evento traumatico, seguito dalla perdita del sonno e dalla comparsa di visioni. “L’uomo senza sonno” è senza dubbio un film dalle sapienti scelte registiche a partire dall’intreccio, caratterizzato da due fondamentali salti temporali all’insegna della suspence, volti ad accrescere l’aura misteriosa non solo della vicenda, ma anche del personaggio di Trevor. È evidente, nella regia di Brad Anderson, l’utilizzo di elementi caratteristici della cinematografia di maestri come Roman Polański, Alfred Hitchcock, David Lynch e David Cronenberg. La scelta dei colori e le valenze simboliche del film sono di certo due aspetti da non trascurare. I toni, infatti, perlopiù tenui e spenti –con un preponderate utilizzo del grigio e del nero–, si conciliano perfettamente con la situazione psico-fisica del protagonista, un uomo solo, bisognoso d’affetto, il cui fisico scheletrico riflette una complicata condizione psicologia e psichiatrica. A spiccare nel grigiore delle scene sono pochi e studiati elementi di colore rosso come la macchina di Ivan ed il semaforo. Rosso è il colore del sangue, che idealmente simboleggia l’omicidio commesso dal protagonista. Questi elementi tinteggiati vividamente richiamano
momenti salienti del passato di Trevor, legati a quell’assassinio che l’uomo vuole dimenticare, o forse ha in parte dimenticato. Di fatto il Disturbo Post Traumatico da Stress può causare l’incapacità di ricordare qualche aspetto importante dell’evento traumatico vissuto. Reiterato è anche l’utilizzo della “sinistra” come simbologia legata all’inferno: nella giostra “Route 666” la “strada per l’inferno” è a sinistra, così come il tunnel oscuro nelle fogne; è quello sinistro anche il braccio tranciato a Miller dal macchinario. Ma molti altri sono i richiami “demoniaci” presenti nel film, come il nome stesso della giostra ed il portachiavi agganciato allo specchietto retrovisore dell’auto. Il primo elemento, ossia la giostra, svolge la funzione di richiamare il secondo, nel tentativo operato dal subconscio di Trevor, di far riaffiorare dalle tenebre i ricordi di un passato traumatico impossibile da occultare; un passato con il quale il protagonista dovrà per forza fare i conti. Molteplici sono, in realtà, i richiami all’incidente stradale evocati dall’inconscio: oltre agli elementi di colore rosso e alla sequenza della giostra che culmina con l’attacco epilettico di Nicolas (durante il quale Trevor fa ciò che avrebbe dovuto fare durante l’investimento, ossia soccorrere il ragazzino), ritorna frequentemente anche il portacenere guasto. La ciliegina sulla torta è sicuramente la recitazione eccelsa di Christian Bale, calato perfettamente nel personaggio, senza nulla togliere all’inquietantissimo Ivan, interpretato da John Sharian. Trevor è un uomo fragile e insoddisfatto, che rigettando il proprio presente e passato, decide di vivere una vita immaginaria. Non soltanto “crea” (inconsciamente) Ivan –personificazione del senso di colpa che lo affligge–, ma addirittura si costruisce una
migliore versione di sé, capace di motti di spirito e spavalderia. Quello che flirta con la cameriera Marie, è un Trevor immaginario –così come la donna, d’altronde–, costruito su misura dalla mente del protagonista. Le generose mance che Trevor lascia sul bancone del bar, riflettono senza dubbio la mancanza d’affetto che lo angoscia: pagare pur di ottenere compagnia, esattamente come accade, almeno inizialmente, nel suo rapporto con la prostituta Stevie. Scegliendo di vivere una vita immaginaria, Trevor scappa da un passato che continua a rincorrerlo, e decide ripetutamente di scegliere la via della menzogna: prima finisce nella “strada per l’inferno” (è vero che Trevor avrebbe voluto prendere la “strada per la salvezza”, ma è altrettanto vero che ciò che stava vivendo era frutto della sua mente e perciò, di fatto, è stato lui a scegliere la strada verso gli inferi) e poi si addentra nel tunnel buio delle fogne. Riesce finalmente a redimersi nel momento in cui accetta la vera natura di Ivan, facendo i conti con il proprio passato. È in questo modo che Trevor potrà recuperare i debiti di sonno accumulati in un anno e, finalmente, la pace interiore perduta.