“Pieter de Hooch a Delft: dall’ombra di Vermeer”

(Museum Prinsenhof, Delft, 11 ottobre 2019 – 16 febbraio 2020)

Un ambiente prevalentemente buio accoglie il visitatore oltre la porta d’ingresso alla mostra. La poca luce visibile proviene da un video proiettato su una parete mobile, posta al centro della sala, e da alcune finestre arcuate aperte sui due lati della stanza, che mostrano il cielo, alberi, tetti e torri. Se non fossero così in alto, verrebbe voglia di affacciarsi: ma non passa molto tempo prima di rendersi conto dell’inganno. Infatti, ciò che a prima vista sembra essere l’esterno del museo in breve tempo rivela la sua vera natura, una natura dipinta ad olio e poi riprodotta ed applicata su un supporto a forma di finestra. L’effetto è spettacolare.

Sempre immersi nella semi-oscurità, in una teca in vetro si trovano esposti alcuni documenti del XVII secolo, resi tanto ostici quanto affascinanti dalla calligrafia del testo manoscritto. Si tratta per lo più di raccolte notarili, in cui nascite, morti e unioni matrimoniali forniscono stretti spiragli di luce all’interno di vite altrimenti perdute nel tempo. Una firma in particolare, quella dell’artista, permette al visitatore accorto di considerare il pittore come l’uomo dietro al dipinto; anzi, permette di immaginarsi la persona dell’artista quando ancora, ai propri dipinti, stava di fronte.

Questo è l’inizio della mostra dedicata a Pieter de Hooch (Rotterdam 1629 – Amsterdam 1679 circa), aperta solo il mese scorso al museo Prinsenhof di Delft. Oggi De Hooch è considerato il più importante pittore di Delft del XVII secolo dopo Johannes Vermeer, suo contemporaneo: da qui la necessità di questa mostra, che costituisce la prima monografica sull’artista organizzata nel suo paese d’origine.

Circa trenta dipinti provenienti da musei e collezioni private sparsi per il mondo sono esposti uno affianco all’altro in due grandi sale, focalizzando l’attenzione sull’opera di De Hooch a Delft, vero cuore della mostra. Nonostante, infatti, numericamente parlando, gran parte dei suoi dipinti risalga al suo trasferimento ad Amsterdam, la produzione di Delft costituisce effettivamente il momento-chiave della sua piena maturazione come pittore e del suo personale sviluppo artistico. Quest’ultimo è stato ricostruito lateralmente nel suo complesso, esponendo anche dipinti provenienti sia dalla sua prima formazione, in cui sembra aver avuto un ruolo fondamentale l’esempio di Anthonie Palamedesz. (1601-1673), che dall’opera prodotta successivamente ad Amsterdam, seguendo il richiamo irresistibile del milieu e del mercato artistico della città.

Alla base della realizzazione della mostra si trova un proficuo lavoro di collaborazione scientifica tra il museo di Delft e il Laboratorio del Rijksmuseum: le analisi sono state dirette dalla conservatrice Anna Krekeler (Rijksmuseum), e hanno permesso importanti approfondimenti nelle conoscenze storico-artistiche e tecniche relative alla pratica pittorica dell’artista. In particolare sono state impiegate avanzate tecniche di osservazione e analisi tramite immagini, come lo scanner macro-XRF (MA-XRF) e la spettroscopia in riflettanza (RIS/VNIR), i cui risultati sono stati pubblicati nel catalogo della mostra.

Gli spazi del quotidiano

Seguendo una pratica ormai consolidata da tempo all’interno delle istituzioni museali, le due sale principali della mostra sono configurate in modo da assecondare le caratteristiche dei dipinti e lasciare loro completamente la scena: così, le tinte scure delle pareti assorbono la luce ambientale, facendo risaltare i colori e le composizioni dei quadri, illuminati direttamente da faretti installati sul soffitto ed efficacemente direzionati. Attraverso questo espediente viene esaltata non solo la brillantezza, ma anche l’importanza strutturale della luce dipinta, che, come vedremo, concorre a costruire lo spazio pittorico in pari misura allo sviluppo prospettico.

La tradizione artistica nordica dei soggetti “bassi”, come le scene di taverna, costituisce probabilmente la base sulla quale Pieter de Hooch ha edificato il proprio stile e le proprie tematiche. Questa tradizione sembra tradursi all’interno della prima produzione dell’artista nella variegata raffigurazione di soldati a riposo all’interno di locande, specialmente alle prese con qualche cameriera, o in attesa di essere chiamati alle armi. Anita Jansen, conservatrice del Dipartimento di Old Masters Paintings al museo Prinsenhof e curatrice della presente mostra, ipotizza in modo convincente che la fonte di diversi motivi riscontrabili nel primo De Hooch sia da ricercare nell’opera di Anthonie Palamedesz. (1601-1673), artista che, a partire dagli anni venti del Seicento, seppe distinguersi a Delft proprio come pittore di interni e di “corpi di guardia”.

Questi primi spunti saranno fondamentali per il successivo sviluppo artistico di De Hooch. Infatti, già nel dipinto raffigurante Due soldati e una cameriera, con un trombettista (fig. 3), sono riscontrabili due elementi che saranno ricorrenti nell’intera opera dell’artista: da una parte, la scelta di una prospettiva angolare per la composizione, che colloca i soggetti principali della scena non nel centro geometrico dello spazio ma su un lato, dall’altra la predilezione per soggetti ed azioni “semplici”, sempre relativi ad una dimensione quotidiana dell’esistenza.

Allo stesso tempo, però, De Hooch dimostra fin da subito di staccarsi dalla pura esercitazione del genere pittorico, concentrandosi non tanto sulla narrazione quanto sulla costruzione dello spazio dipinto. Questa sua tendenza venne presumibilmente “foraggiata” dopo l’arrivo a Delft intorno al 1652, città a quel tempo in piena crescita e dove artisti come Emmanuel de Witte (1617-1692, fig. 5), Gerard Houckgeest (1600-1661) e Hendrick van Vliet (1611-1675) stavano conducendo nuovi studi sulla riproduzione pittorica dell’architettura interna. Nei loro dipinti sono gli spazi, gli ambienti e gli sviluppi architettonici a costituire i veri soggetti, mentre la presenza umana è rappresentata da piccole figure, inserite piuttosto per abitare quegli spazi e renderli credibili.

Si tratta in verità di un filone artistico che rientra nel gusto fiammingo per la riproduzione illusiva degli interni, già visibile in nuce in alcuni ritratti del Quattrocento, e che porterà nella seconda metà del Seicento alle “scatole prospettiche” di Samuel van Hoogstraten. Pieter de Hooch si fa erede di questa lunga tradizione, arricchendola con nuovi spunti personali: in particolare, nei suoi dipinti essa prenderà la forma di aperture in profondità attraverso una porta aperta o un passaggio che diventerà una delle sue specialità.

L’elemento del “passaggio”, dell’“attraversamento” fisico di uno spazio risulta strettamente legato alla possibilità di guardare in profondità, di lanciare lo sguardo dal primo piano ad un secondo piano posto in lontananza ma connesso al primo per mezzo di una porta o un arco. Questo concetto viene espresso dal termine olandese doorkijk, che significa letteralmente “visione attraverso” (o, più concretamente, “spioncino”) e che viene usato per indicare questo tipo di immagini: risulta chiaro, dunque, che questo espediente artistico trova il suo fondamento nella concezione del ruolo della vista nella costruzione mentale e nella comprensione dello spazio, “sviluppato” dunque nel momento stesso della visione.

Così, il vero centro d’interesse di De Hooch sembra essere la rappresentazione efficace e convincente, vedi illusiva, di un ambiente composto di più vani, tutti potenzialmente abitabili e resi con una grande cura per l’effetto visivo. A questo proposito, la ricerca scientifica condotta su alcuni suoi dipinti ha rivelato la pratica utilizzata dall’artista per la costruzione prospettica: mente molti artisti coevi usavano infilzare la tela nel punto di fuga con una puntina e da questa stendevano poi dei fili per tracciare più facilmente le linee prospettiche, De Hooch adoperava due puntine, poste in due diversi punti di fuga, in modo da ottenere una prospettiva perfetta. Solo dopo aver dipinto il pavimento, inoltre, l’artista passava a costruire le figure.

Tuttavia, la fine illusorietà degli ambienti di De Hooch, che spinge l’osservatore a pensare (e talvolta a desiderare) di poterli idealmente attraversare, non è data solamente dalla convincente costruzione prospettica, ma anche dalla sottile resa della luce che, filtrando dal vetro di una finestra o entrando direttamente da una porta aperta, ancora una volta “attraversa” le stanze dipinte. A partire dal periodo di Delft, le fonti di luce all’interno dei suoi quadri diventano molteplici, producendo così la tipica alternanza di luce e ombra che si crea in un interno, a seconda della sua articolazione e degli ostacoli che la luce incontra al suo passaggio. Di nuovo, lo spazio viene definito anche dalla relazione tra primo piano e secondo piano, che sono quasi sempre illuminati distintamente, ma messi in comunicazione da qualche dettaglio intermedio.

Nonostante il ruolo così prevaricante dello spazio dipinto finora affermato, non è lecito affermare che le figure che abitano gli spazi di De Hooch siano completamente casuali. Con il suo arrivo a Delft, infatti, il pittore tende ad abbandonare il tema dei soldati in scene di osteria, per dedicarsi alla dimensione più domestica e privata delle madri di famiglia, delle nutrici e dei figli da crescere e accudire, forse costruiti a partire dalla stretta cerchia di persone che vivevano a contatto con l’artista. Si tratta di personaggi solo apparentemente casuali ed elaborati in funzione dello spazio da abitare, riservandovi, al contrario, una grande attenzione: grazie ai recenti studi, infatti, in molte occasioni sono stati riscontrati dei cambiamenti in corso d’opera nella disposizione e nella tipologia delle figure. Ad esempio, il dipinto conosciuto come Il dovere della madre inizialmente doveva mostrare, di fronte al letto, una coppia. Del resto, come si evince da quest’opera, certamente non casuale è anche il significato morale di sottofondo, esplicitato proprio dalla scelta dei soggetti: la sicurezza e l’ordine all’interno della casa, come anche il dovere delle madri/mogli costituiscono temi centrali nella cultura olandese del Secolo d’oro e vengono spesso rappresentati in immagine.

Le azioni in cui le figure sono colte sono estremamente semplici e ordinarie, proprio perché non è la narrazione di uno specifico evento ad interessare l’artista. È così che la serenità regna sovrana nelle scene domestiche di De Hooch, che testimoniano fino ai giorni nostri la realtà di tipiche abitazioni e di tipiche vite del Seicento olandese con dovizia di particolari.

All’interno della mostra, due schermi digitali posti di fronte ai dipinti, idealmente ai due fuochi di entrambe le stanze, permettono di osservare in alta definizione alcuni dettagli e di leggere approfondimenti su alcuni motivi-chiave dell’opera di De Hooch.

Le “scene domestiche” di Pieter de Hooch sono ambientate sia all’interno delle mura domestiche che all’aperto, in particolare nei cortili sul retro delle abitazioni, sempre delimitati da un perimetro murario.

Nel caso dei cortili esterni, l’artista usa gli scorci e gli edifici della città di Delft come quinta teatrale per le sue composizioni. Curiosamente, però, pur essendo anch’esse estremamente dettagliate e riprodotte a partire dall’osservazione dal vero, le sue vedute non riproducono sempre fedelmente le reali distanze e localizzazioni delle diverse costruzioni che caratterizzavano la città a quel tempo, ma si configurano piuttosto come una rielaborazione fantasiosa di più scorci.

Questo è ad esempio il caso dell’opera Donna e bambina in un campo per il candeggio (fig. 14): nella veduta della città che si apre dietro al muro perimetrale del cortile, si riconoscono le torri della Nieuwe Kerk e della Oude Kerk (Chiesa Nuova e Chiesa Vecchia), la cui posizione l’una rispetto all’altra risulta impossibile da quella prospettiva. Si tratta di piccole libertà che l’artista si prende nei suoi dipinti e che hanno permesso alla curatrice della mostra di giocare con i visitatori, incoraggiandoli a cercare per le vie della città alcuni elementi architettonici e scorci ancora oggi visibili.

 Con il trasferimento ad Amsterdam, intorno al 1661, il bagaglio che Pieter de Hooch porta con sé, fatto di pratiche pittoriche e scelte artistiche consolidate, si trova a doversi confrontare con un contesto artistico altrettanto affermato e costantemente stimolato da un mercato in fervore. Come è stato anticipato nelle prime pagine, la produzione dell’artista nella nuova città risulta proporzionalmente maggiore rispetto al resto della sua carriera precedente: si stima, infatti, che il 50% della sua intera produzione sia relativo ai suoi ultimi 14 anni di attività. Questa situazione potrebbe essere dovuta sia alla maggiore domanda caratteristica del mercato artistico di Amsterdam, sia dalle difficoltà economiche riscontrate in principio dall’artista, che lo avrebbero spinto a produrre di più per ricavarne il guadagno necessario alla sua sussistenza. Non solo: sono anche le dimensioni dei suoi dipinti ad aumentare, in parte forse per una specifica richiesta degli acquirenti, in parte per poterli vendere ad un prezzo maggiore.

Gradualmente anche lo stile di De Hooch subisce una trasformazione, mirata ad accostarsi sempre di più al gusto dei committenti locali. Gli interni stessi sono cambiati, sono tendenzialmente più eleganti e raffinati e mostrano dettagli lussuosi, come i pavimenti in marmo e le costosissime decorazioni parietali in cuoio dorato (fig. 15).

Il tema principale dei suoi dipinti rimane sempre la vita domestica, ma è il tenore delle immagini a cambiare; aumentano le scene relative alla lettura, alla scrittura o alla ricezione di lettere, genere  praticato con successo da Gerard Ter Borch (1617 – 1681) e in generale molto in voga a quei tempi. Aumentano anche i ritratti di gruppo e le cosiddette merry companies, ossia “allegre compagnie”, che raffigurano gruppi di persone riunite tendenzialmente intorno ad un tavolo in un ambiente domestico privato e intente a fare musica, a bere e conversare, o ancora a giocare a carte. Gli stessi toni scelti per i dipinti sembrano raffreddarsi, attraverso l’uso di colori più brillanti.

Dopo il 1679 non si hanno più notizie dell’artista, anno in cui viene menzionato per l’ultima volta – per quanto si sappia – all’interno di un documento d’archivio e che per questo viene indicativamente preso come l’anno della morte. Certamente la ricerca porterà in futuro molto altro da aggiungere sulla vita e l’opera di Pieter de Hooch, ma è anche grazie a mostre come questa se lo studio su artisti meno celebrati viene incentivato e spinto oltre le conoscenze acquisite. Del resto, ancora da definire è l’effettivo rapporto professionale tra De Hooch e Vermeer: le affinità tra diverse opere dei due maestri è lampante, eppure, anche a causa della loro stretta contemporaneità, non si può ancora affermare con certezza chi dei due sia stato il modello per l’altro. Si ritiene, ad esempio, che Vermeer si sia ispirato alla Donna che pesa delle monete d’oro di De Hooch (fig. 15) per la sua Donna che tiene in mano una bilancia (fig. 18): la principale motivazione alla base di questa ipotesi risiede nel fatto che inizialmente De Hooch avesse inserito un’altra figura all’interno del dipinto, un uomo seduto nel punto dove adesso si vede una preziosa stoffa ricamata. Dato che la composizione di Vermeer richiama da vicino la seconda versione del dipinto di De Hooch, ossia l’aspetto che vediamo noi oggi, si ritiene più probabile che sia stato il primo a prendere spunto dal secondo e non viceversa. È indubbio, però, che per altre occasioni sia avvenuto anche il contrario e che De Hooch abbia guardato a Vermeer come fonte di ispirazione; operando nella stessa città per diversi anni, del resto, è comprensibile che i due si conoscessero e che si influenzassero a vicenda.

“Ai posteri l’ardua sentenza”: per il momento ci si accontenta della nuova luce che rischiara la fama di Pieter de Hooch, finalmente celebrato in Olanda “fuori dall’ombra di Vermeer”.

BIBLIOGRAFIA

– Sutton Peter C., Pieter de Hooch: Complete Edition, 1980, Oxford

– Van Os, Hendrick Willem (a cura di), De Hooch – Vermeer, 1993, Rijksumuseum, Amsterdam—

– Sutton Peter C., Pieter de Hooch (1629 – 1684), cat. mostra (Dulwich Picture Gallery, 3 settembre – 15 novembre 1998; Wodsworth Atheneum, 17 dicembre 1998 – 27 febbraio 1999), 1998 Wodsworth Atheneum

– Jansen Anita, Pieter de Hooch in Delft: from the Shadow of Vermeer, cat. maostra (Museum Prinsehnhof, Delft, 11 ottobre 2019 – 17 febbraio 2020), 2019, Waanders B. V., Uitgeverij

SITOGRAFIA

https://prinsenhof-delft.nl/pieterdehooch/?lang=en, ultima consultazione 20/11/2019

https://www.rijksmuseum.nl/en/press/press-releases/technical-research-sheds-new-light-on-the-work-of-pieter-de-hooch, utlima consultazione 20/11/2019

https://www.rijksmuseum.nl/en/press/press-releases/technical-research-sheds-new-light-on-the-work-of-pieter-de-hooch, ultima consultazione 15/11/2019

IMMAGINI

  • Figura 1. Una delle “finte” finestre della sala introduttiva. Fotografia dell’autrice
  • Figura 2. Analisi ravvicinata di un dipinto di Pieter de Hooch all’interno del laboratorio di conservazione dei dipinti del Rijksmuseum. Fonte: Rijksmuseum, Amsterdam. https://www.rijksmuseum.nl/en/press/press-releases/new-research-on-the-paintings-of-pieter-de-hooch-rijksmuseum-and-museum-prinsenhof-delft
  • Figura 3. Pieter de Hooch, Due soldati e una cameriera con un trombettista, 1650-1655 circa, olio su tavola, 76 x 66 cm, firmato in basso a destra “P·de·hooch”, The Betty and David M. Koetser Foundation, Kunsthaus Zurich
  • Figura 4. Anthonie Palamedesz., Ufficiale che innalza un bicchiere, 1640 circa, penna e inchiostro marrone acquarellato, 20,5 x 15,5 cm, Prentenkabinet, Universiteitsbibliotheek, Leida
  • Figura 5. Emmanuel de Witte, Interno di una chiesa gotica protestante, 1660-1680 circa, olio su tela, 122 x 104 cm, Rijksmuseum, Amsterdam
  • Figura 6. Samuel van Hoogstraten, Scatola prospettica (aperta), 1655-1660 circa, olio e tempera su legno, 58 x 88 x 60,5 cm, firmato e iscritto, National Gallery, Londra
  • Figura 7. Pieter de Hooch, Donna e bambina in un interno, 1658 circa, olio su tela, 65 x 60,5 cm, firmato in basso a sinistra “P·D·H”, Rijksmuseum, Amsterdam
  • Figura 8. Pieter de Hooch, Il dovere della madre, 1658-1660 circa, olio su tela, 52,5 x 61 cm, firmato in basso a destra sulla sedia del bambino “P.d. hooch”, Rijksmuseum, Amsterdam
  • Figura 9. Immagine in macro-XRF della porzione di destra di fig. 7. Fonte: Rijksmuseum, Amsterdam, https://www.rijksmuseum.nl/en/press/press-releases/technical-research-sheds-new-light-on-the-work-of-pieter-de-hooch, ultima consultazione 22/11/2019
  • Figura 10. Pieter de Hooch, I giocatori di “colf”, 1658-1660, olio su tavola, 63,5 x 46,4 cm, National Trust Collection, Regno Unito, dettaglio
  • Figura 11. Pieter de Hooch, Donna e bambina in un interno, 1658 circa, olio su tela, 65 x 60,5 cm, firmato in basso a sinistra “P·D·H”, Rijksmuseum, Amsterdam, dettaglio
  • Figura 12. Pieter de Hooch, Il dovere della madre, 1658- 1660 circa, olio su tela, 52,5 x 61 cm, firmato in basso a destra sulla sedia del bambino “P.d. hooch”, Rijksmuseum, Amsterdam, dettaglio
  • Figura 13. Pieter de Hooch, Cortile di Delft con donna e bambina, 1658, olio su tela, 73,5 x 60 cm, firmato e datato alla base dell’arco “P.D.H./An° 1658”, National Gallery, Londra
  • Figura 14. Pieter de Hooch, Una donna e una bamina in un campo per il candeggio, 1657-1659 circa, olio su tela, 73,5 x 63 cm, firmato in basso a sinistra “P·D·H”, collezione privata
  • Figura 15. Pieter de Hooch, Donna che pesa delle monete d’oro, 1659-1662 circa, olio su tela, 61 x 53 cm, Staatliche Museen, Gemaldegalerie, Berlin.
  • Figura 16. Pieter de Hooch, Ritratto di una famiglia mentre fa musica, 1663, olio su tela, 100,3 x 119,4 cm, firmato in basso a sinistra “P D HOOCH [16]63”, The Cleveland Museum of Art
  • Figura 17. Pieter de Hooch, Uomo che legge una lettera a una donna, 1670-1674 circa, olio su tela, 77 x 69,9 cm, firmato sullo scaldapiedi “P. d. Hoo…”, Private Collection
  • Figura 18. Johannes Vermeer, Donna che tiene in mano una bilancia, 1664, olio su tela, 42,4 x 38 cm, National Gallery of Art, Washington