Le Batterie del Monte di Portofino

Analisi Geografica del Paesaggio

Introduzione

Il Monte di Portofino è rinomato per la sua bellezza e per il suo fascino, capaci di renderlo una meta molto ambita e apprezzata tanto dai turisti quanto dai locali, ossia tutti coloro che abitano nelle località tra Recco e Rapallo (Provincia di Genova), i quali vantano la possibilità di poter vivere a stretto contatto con quella che può essere definita un’autentica meraviglia della natura. Tuttavia questo monte, reso Parco Regionale nel 1935[1] per tutelarne la fauna, la flora e il paesaggio, non è meritevole di nota soltanto per i suoi sentieri e per i luoghi di ritrovo da gita domenicale, perché le sue particolarità sono molto più numerose e meritevoli di essere prese in considerazione una per volta.

Procedendo dunque con ordine, all’interno di questa relazione cercherò di svolgere un’analisi geografica del paesaggio del monte di Portofino, ma più nello specifico della zona conosciuta come “Batterie”, posta a 250 m dal mare, sulla quale sorge un complesso di bunker e postazioni della seconda guerra mondiale.

Questa scelta permette di analizzare non solo un’area importante dal punto di vista storico, ma anche di poter discutere di ognuna delle particolarità del monte di cui parlavo prima, che riguardano aspetti geomorfologici, climatici, economici e floristici di un territorio protetto e rispettato dalle sue comunità da almeno sei secoli[2].

Dove sono state costruite le Batterie?

Aspetti Geomorfologici del Promontorio

Il complesso delle Batterie Costiere di Portofino, o per essere più precisi di “Punta Chiappa”, perché costruite sopra l’omonima lingua di roccia che si immerge nelle acque del Golfo Paradiso (nota come antico borgo di pescatori)[3], venne realizzato nel corso del secondo conflitto mondiale in una località il cui nome originale era “Erbaio”[4].

L’area si trova sulla costa meridionale del Promontorio di Portofino[5], che si sviluppa per una lunghezza di 6 chilometri, ed è caratterizzata dalla presenza di grotte e torri, quest’ultime appartenenti ai sistemi difensivi anti-corsari creati dalla Repubblica di Genova nel corso dell’età Medievale e Moderna. Per esempio, navigando sotto costa, partendo da Portofino, si può ammirare l’imponente castello San Giorgio (detto anche Castello Brown dopo che è stato acquistato dall’omonimo Console)[6], la Torre del Doria a difesa di San Frutturoso e la “Torretta Saracena” posta sopra Cala dell’Oro. Proseguendo poi da Camogli verso il Ponente Ligure è possibile ammirare altre centinaia di strutture militari delle stesse epoche, le quali non mancano ovviamente anche nella parte di costa verso Levante.

Tornando agli aspetti morfologici, la quota massima raggiunta dal monte di Portofino è di 610 metri “in relazione alla vicinanza con la linea di costa, circa un chilometro, in corrispondenza di Cala dell’Oro”[7].

Salta subito all’occhio lo stretto legame del monte col mare. A Est infatti le alte e ripide coste si immergono nel Golfo del Tigullio, mentre a ovest in quelle del Golfo Paradiso. Dei due quello maggiormente difeso dalle Batterie costiere di Punta Chiappa era sicuramente il Golfo Paradiso, essendo queste nate con lo scopo di difendere maggiormente Genova da nuovi attacchi navali anglo-francesi, come quelli del ’40 e ’41, ma come vedremo in seguito è possibile che questo complesso dovesse coprire un’area molto più ampia.

Sottoposta all’azione dei venti, la costa meridionale del promontorio oltre ad essere ripida è segnata dalla presenza di insenature e cavità naturali create dagli agenti meteorici e dalla forte azione del mare. Le Cale più grandi e sicure sono soltanto due, ossia quella di San Fruttuoso a Levante e quella dell’Oro a Ponente. In alcune aree invece hanno preso forma vere e proprie grotte soprannominate, dai pescatori locali, “cannoni”, perché quando le onde vi impattano contro con forza generano un suono simile a quello di un’arma da fuoco di grosso calibro, udibile in certi casi anche a chilometri di distanza. [8]

Gli studi condotti nel 2005 dall’Università di Genova e dalla sezione Geologica del CAI di Bolzaneto[9] hanno permesso di individuare un totale di 16 grotte formatesi nel Monte di Portofino, 7 raggiungibili via terra e 8 via mare, mentre una non è ancora stata identificata. La sua storia è strettamente legata a quella delle Batterie, perché secondo dicerie locali venne utilizzata per nascondervi materiali provenienti da queste postazioni di difesa costiera[10]. Non viene precisato se tra queste 16 grotte viene tenuto conto di una cavità artificiale scavata proprio all’interno del complesso delle Batterie, all’interno della quale si possono vedere ancora i segni di un intervento dell’uomo, quali una trave di legno che spunta dal soffitto e lunghi fori sottili, realizzati con precisione e tutti dello stesso diametro, in cui venivano probabilmente inserite le cariche esplosive necessarie per scavare nel duro conglomerato del Promontorio. La certezza che questa cavità, lunga poche decine di metri, sia artificiale deriva anche dal fatto che quello delle Batterie era un cantiere ancora aperto, nel quale i lavori per ampliare il numero delle postazioni d’artiglieria, antiaeree e dei magazzini terminarono, o meglio furono abbandonati, con la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Affrontando questo discorso introduciamo un’altra importante questione, legata alla particolarità geologica del Promontorio di Portofino.

Pochi sanno che le formazioni geologiche da cui è composto il Promontorio sono tre, ossia:

1) Coperture Quaternarie;

2) Calcari del Monte Antola;

3) Conglomerato di Portofino.

Le Coperture Quaternarie sono le più recenti, in quanto hanno preso forma negli ultimi due milioni di anni. Sul sito internet del Parco di Portofino viene spiegato che “sono dovute alla deposizione di materiale da parte dei corsi d’acqua, da depositi alluvionali e da coltri di detriti e frane, rilevabili, soprattutto, nella zona di contatto tra i Calcari e il Conglomerato”[11].

Le formazioni Calcari del Monte Antola[12] invece compongono l’area settentrionale del Promontorio. Si protendono tra Genova e Chiavari. “Sono costituiti da strati calcareo-marmosi intercalati da argille e da arenarie, datate tra i 90 e i 55 milioni di anni”[13]. Queste formazioni sono composte da strati di rocce, generalmente di colore grigio, le cui spaccature sono state riempite dal calcare, riconoscibile perché di colore bianco. “Nell’area costiera in corrispondenza dell’abitato di San Rocco di Camogli (Foto 4),  la deformazione delle rocce, dove gli strati sono ripiegati in modo molto evidente. Il fenomeno è dovuto prevalentemente al limitato spessore degli strati stessi ed alla relativa plasticità delle marne e delle argille presenti nella roccia.[14]

A causa della sua fragilità questa conformazione è più facilmente soggetta all’azione erosiva del mare, che la colpisce, come si sarà intuito, nel tratto occidentale della costa del Promontorio.

La Pudinga (Ossia il Conglomerato di Portofino) è quella conformazione che più mise a dura prova la realizzazione delle Batterie. Tutti la conoscono perché, tra le particolarità del Parco di Portofino, è una di quelle con cui si entra più facilmente in contatto, anche nel corso di una semplice passeggiata da Santa Margherita Ligure verso Paraggi è possibile imbattersi in questo conglomerato, il cui “frammento” più famoso è costituito dallo scoglio di Punta Carega, sul quale è riuscito a crescere un piccolo pino marittimo che ruba l’attenzione dei passanti da decenni.

Il nome Pudinga è di origine locale.

Si ritiene che questi sedimenti abbiano preso forma tra  45 o 20 milioni di anni fa. A comporli sono ciottoli di diverso diametro, di cui i più comuni raggiungono i 5-10 cm, ma non mancano eccezioni di dimensioni maggiori.[15] I suoi componenti sono “calcari marnosi ed arenacei, calcareniti, diaspri, rocce ofiolitiche, scisti cristallini. Nel conglomerato sono inoltre diffuse fratture riempite spesso da calcite cristallizzata”.[16]

Ben distinta dai Calcari del Monte Antola, la Pudinga occupa l’intera area meridionale del Promontorio, ha creato una situazione molto particolare per gli abitanti di San Rocco, paesino che solitamente funge da punto di partenza per raggiungere le Batterie. Perché trovandosi nel mezzo tra le due conformazioni, di cui la seconda è più solida e resistente della prima, i cittadini di San Rocco hanno provveduto a costruire il centro del paese dove non si correva il rischio di frane, riservando invece i terreni meno sicuri alle attività agricole. Nella Guida Naturalistica del Monte di Portofino (1978) a cura di A. Desio si faceva infatti presente che lungo le fasce di oliveti si poteva osservare un’insolita pendenza dei tronchi degli ulivi secolari, inclinati praticamente di 45° in direzione del mare, a causa dei movimenti del terreno.

Un esempio di buon senso che purtroppo sembra sia venuto sempre meno nel corso degli anni, perché, già negli anni ’70 e ancora ai giorni nostri, gli abitanti del paesino di San Rocco hanno iniziato a costruire le loro abitazioni anche sul terreno più fragile dove non manca il rischio di frane.

L’influenza del Clima sull’ambiente

Aver preso precedentemente in considerazione gli aspetto morfologici del Promontorio permette di comprendere le sue particolarità climatiche.

Il clima del Parco di Portofino è, come si potrà immaginare, di tipo Mediterraneo[17], ma questo non impedisce il formarsi al suo interno di microclimi che mutano da parete a parete o da valle a valle[18]. I versanti Nord infatti, più interni, vantano un clima più vicino a quello Continentale, caratterizzato da estati miti e inverni rigidi che poco subiscono l’influenza regolatrice del Mar Mediterraneo. Decisamente diversa è invece la condizione dei versanti Sud (come per le conformazioni geologiche, si assiste ancora ad una distinzione netta tra le particolarità settentrionali e meridionali del Monte). Il clima vicino alle coste è “spiccatamente” Mediterraneo, le temperature estive raggiungono livelli molto alti e gli inverni sono miti.

Queste differenze climatiche portano all’incontro di due correnti contrastanti, una fredda proveniente da Nord e l’altra calda proveniente da Sud, le quali provocano “frequenti formazioni nuvolose e nebbiose”[19] sulle vette più alte del Promontorio[20].

Al formarsi di questi microclimi dobbiamo l’ampia varietà floristica presente nel Parco di Portofino. La sua vegetazione caratteristica rientra nella categoria definita “Macchia Mediterranea”, perché costituita da una “boscaglia litoranea sempreverde” che “occupa vaste zone nelle regioni costiere e ha una fisionomia uniforme, caratterizzata da specie arbustive o arboree […] e specie lianose […], benché le specie prevalenti siano diverse nei vari settori; è più o meno fitta e rigogliosa a seconda delle condizioni ambientali e si presenta particolarmente sviluppata nei settori a suolo profondo e fresco. […] La fauna della macchia mediterranea è rappresentata da cinghiali, istrici, tassi, volpi e da numerose specie di uccelli e di insetti”[21].

In questo caso gli arbusti del Promontorio posso raggiungere il metro-metro e mezzo di altezza, arrivando in rari casi ai tre-quattro metri. Le specie vegetali tipiche della Macchia Mediterranea che possiamo citare sono[22]:

1) il Pino Marittimo [23];

2) il Pino d’Aleppo;

3) il Corbezzolo;

4) il Mirto;

5) l’Oriniello;

6) il Ginepro;

Citare tutte le specie vegetali presenti nel Parco, all’interno di questa relazione, non sarebbe possibile dal momento che la loro quantità supera i 900 esemplari[24] e questo risultato è dovuto non solo alla conformazione morfologica e al clima, ma anche all’intervento dell’uomo.

Nell’introduzione ho affermato che il Monte di Portofino viene protetto e salvaguardato da oltre sei secoli. La ragione per cui  ho fatto una simile affermazione è una fonte risalente al 22 maggio 1470 di cui parla Giuseppina Corti, autrice del Capitolo “La Flora” della Guida Naturalistica tascabile del Monte di Portofino. Tramite questo documento, realizzato a favore di Camogli, si viene a sapere che la sommità del Monte di Portofino era devastata e che per risolvere la situazione vennero stabilite pene severe per chiunque avesse recato danno alla vegetazione incendiandola (accidentalmente quanto volontariamente), o portandovi gli animali al pascolo. Oltre a voler difendere l’intera vegetazione del territorio, si puntava a salvaguardare due piante in particolare: l’erica e il mirto[25].

Prima ancora però, coloro che ebbero il maggiore controllo, economico e ambientale, sul monte furono i monaci di San Fruttuoso[26], che riuscirono ad influenzare questi due aspetti dal IX al XIX secolo[27].

Secondo quanto affermato da Silvia Olivari nella sua opera “Quando sul Monte si cuoceva il Carbone”, del 2007, il monaci benedettini di San Fruttuoso favorirono la cultura dell’olivo e del castagno (quest’ultima nel 1500), amministrando, oltretutto, fino alla prima metà del XVII secolo l’estensione dei possedimenti. “Solo dal 1640 l’Abazia da in locazione parte degli appezzamenti posseduti, vincolandone l’uso”[28].

Gli interventi dell’uomo furono dunque molteplici e capaci di salvaguardare il territorio, ma oltre alla difesa delle piante autoctone venne favorita anche la diffusione di vegetali esterni, come:

1) il cedro dell’Hymalaia;

2) il Cedro dell’Atlante;

3) Il Cipresso dell’Arizzona;

4) le Palme;

5) l’Opunzie[29];

6) l’Euforbia arborea;

7) la Pteride di Creta;

8) la Genzianella campestre;

9) il Croco bianco[30].

Tra le piante spontanee del monte invece merita particolare attenzione il Pino Marittimo, perché nel 1865 venne utilizzato per favorire il rimboscamento delle aree incendiate del Monte facendone spargere i semi.

Le Batterie “Chiappa”

Dopo aver descritto il paesaggio e l’ambiente intorno al quale sono state erette le Batterie, giunge il momento di raccontarne la storia, la quale però merita di essere affrontata seguendo un preciso percorso.

Uno dei punti di partenza che permettono di raggiungere il sito delle Batterie è il già citato paesino di San Rocco. La distanza da percorrere è di circa 1,8 chilometri in direzione sud-suovest, il tratto è pianeggiante e cementato fino all’abitato di Mortola, dopo il quale la strada muta in un sentiero in terra battuta al cui apice si trovano degli “affioramenti rocciosi”[31] che “anticipano” la comparsa delle prime due strutture militari del complesso: una garitta e una postazione per mitragliatrice.

La prima, come si può vedere nell’immagine 9, è ben visibile e costruita a ridosso di un blocco roccioso. Sopra di essa, e per questo meno nota, si trovano, invece, i resti della postazione per mitragliatrice, raggiungibile scalando una parete di roccia con l’aiuto di una catena a cui aggrapparsi.

Invece di realizzarla in legno o in cemento, questa garitta[32] è stata costruita sfruttando uno di quegli elementi che tanto caratterizzano la costa meridionale del Promontorio, ossia la Pudinga. Ridotta in frammenti durante gli scavi delle postazioni d’artiglieria, la Pudinga è stata utilizzata anche per realizzare la garitta in questione, la sua postazione per mitragliatrice, le postazioni antiaeree e per rivestire le Stazioni per la direzione del tiro dei cannoni. In questo modo si è garantito un perfetto mimetismo di queste strutture, capace di rendere quanto mai difficoltosa la loro individuazione dal mare.

Altro elemento del Monte, visibile nell’immagine 9, che venne sfruttato dai militari fu la Lisca, quell’erba lunga i cui cespugli crescono in abbondanza in tutta l’area. Tagliandone i fili e impastandoli con la malta venne prodotto un materiale chiamato populit[33],che venne poi modellato per dare forma a dei pannelli spessi 2 centimetri e lunghi uno o due metri. La loro era una funzione isolante, venivano posti sulle pareti (sopra ai mattoni forati), nei soffitti, nelle volte a botte e poi intonacati.

Seguendo il sentiero oltre la garitta ci si imbatte nella prima postazione antiaerea, posta parallelamente a una cavernetta impiegata come magazzino per le munizioni, alta quel tanto da permettere ad una persona accovacciata di entrarvi. Non si sa dire se questa cavernetta sia artificiale o naturale.

La struttura successiva è un fabbricato ristrutturato in tempi recenti. Inizialmente di cemento armato, oggi è stato ricostruito in legno per ospitarvi un piccolo  museo dedicato alle Batterie. Negli anni quaranta era riservato invece al corpo di guardia.

L’ultima struttura ben nota del sito è la Stazione protetta direzione di tiro, “Costituita da due corpi sovrapposti, in calcestruzzo, comunicanti tra loro per mezzo di una scala elicoidale accessibile dall’interno del locale superiore per mezzo di una botola. […] All’interno delle due postazioni, posizionate di fronte alla grande feritoria di osservazione, sono presenti due supporti in calcestruzzo di forma cilindrica sui quali poggiava il treppiede di uno strumento ottico”[34]. Anche queste due “torrette” per la direzione del tiro disponevano di due postazioni superiori antiaeree, delle quali ormai restano i perni metallici e piccoli scomparti porta munizioni.

La ragione per cui ho definito questa Stazione “l’ultima struttura ben nota” è legata al fatto che spesso gli escursionisti, sia forestieri che locali, ignorano la presenza di tutte le strutture sottostanti, raggiungibili percorrendo una scalinata malmessa e quindi pericolosa, che riceve un’attenzione decisamente minima da parte dei gestori del sito, ma non è per colpa di essa se sono in pochissimi a conoscere il resto del complesso e quindi la presenza delle postazioni d’artiglieria che un tempo ospitavano cannoni da 152mm[35] con una gittata di 19.000mt[36].

L’installazione di simili armi sul Promontorio di Portofino fu una conseguenza del 10 giugno 1940, ossia di quando l’Italia dichiarò guerra alla Francia, ormai prossima a cedere sotto la pressione delle forze armate tedesche[37].

Potendo ancora reagire contro l’iniziativa Italiana, i francesi risposero attaccando le coste italiane più vicine, ossia quelle liguri. Divise in tre gruppi le navi della Terza squadra Francese colpirono Vado Ligure, Savona e Genova[38]. Le difese navali di Genova si rivelarono tuttavia inefficaci. A comporle erano dei pontoni armati semoventi G.M. 194 ex Faà di Bruno, quattro treni armati e le batterie Ammiraglio Giorgio Mameli (vetta di Genova Pegli), che si rivelò la più efficace danneggiando un cacciatorpediniere francese.

Dopo questo primo attacco che provocò tre morti e dodici feriti, seguirono i primi bombardamenti anglo-francesi, mentre la minaccia dal mare tornò a presentarsi il 9 febbraio 1941 per mano degli inglesi, decisi a colpire Genova in quanto obiettivo militare, economico e psicologico.

Scarsamente difesa, la città ebbe a proprio svantaggio anche i  fondali marini antistanti, profondi abbastanza da permettere alla flotta britannica di potersi avvicinare indisturbata ai bersagli, aiutata anche dalla foschia di quel giorno, che aprì il fuoco senza che l’artiglieria italiana potesse rispondere efficacemente. L’unico punto di riferimento delle difese liguri erano le fiammate dei cannoni nemici, insufficienti per garantire di centrare il bersaglio.

Ormai evidente che occorreva intensificare il sistema difensivo delle coste liguri, lo Stato Maggiore e la Commissione per la Difesa italiani ordinarono la costruzione di nuove postazioni d’artiglieria costiere a Monte Moro, Arenzano, e Punta Chiappa[39].

Si giunse così all’occupazione dei terreni dove sorgono ora le nostre Batterie, in quel momento proprietà del Comune di Camogli.

Essendo queste Batterie di medio calibro antinavi, “erano costruite secondo le direttive formulate dalla Commissione di Difesa e dell’Ufficio del capo di Stato Maggiore della Marina”[40]. Ciò prevedeva quindi, oltre alle strutture già citate, la realizzazione di 5 piazzole per i cannoni, delle quali però ne vennero costruite soltanto tre, mentre una quarta era in corso d’opera (si trova in direzione di levante sopra a tutte le altre, sovrastata da una piccola postazione antiaerea tornata alla luce dopo un recente incendio).

Di queste tre postazioni ne resta soltanto una che mantiene i canoni italiani, perché le altre due vennero adattate ai criteri tedeschi dopo l’occupazione dell’8 Settembre 1943, in seguito alla quale gli uomini della 202^ Batteria di Punta Chiappa vennero rimpiazzati dal 619^ Battaglione della “Marine Artillerie” (l’artiglieria costiera della Kriegsmarine)[41].

Le postazioni italiane erano, infatti, composte dai seguenti elementi:

1) una piazzola scoperta per il cannone;

2) un parapetto;

3) due gallerie per riporvi munizioni e cariche;

4) una terza galleria d’ingresso.

Come si può vedere nell’immagine 14, la parte esterna della struttura sfruttava ancora l’eccellente mimetismo garantito dai frammenti di Pudinga, mentre la lisca veniva impiegata, non solo per i pannelli isolanti, ma anche per piantarla, al naturale, dentro a dei “vasi” posti lungo i parapetti per simulare le pareti rocciose del monte.

Questo sistema garantiva, effettivamente, un eccellente mimetismo, ma dal momento che la piazzola per il cannone era priva di una qualsiasi copertura diventava possibile avvistarla e colpirla con l’aviazione. Per risolvere il problema gli ingegneri tedeschi dell’Organizzazione Todt aggiunsero delle “casematte” di cemento armato su due postazioni italiane e molto probabilmente avrebbero riservato gli stessi interventi alla terza se non fosse sopraggiunto il 25 aprile 1945.

Nell’immagine 15 possiamo vedere da sinistra le due postazioni modificate seguendo i canoni strutturali tedeschi e sopra di esse si intravede il parapetto della postazione italiana rimasta al suo stato originale. Le tre postazioni si trovavano a quote diverse e distanti tra loro 45-50 metri per evitare che l’esplosione di una di esse potesse colpire le altre. Sopra si vedono il fabbricato per il corpo di guardia e le due Stazioni protette di Tiro.

Ma come fu possibile realizzare tutto questo?

La costruzione del complesso iniziò il 2 febbraio 1941 e non fu priva di difficoltà. L’avversario più ostico, affrontato dal Genio Lavori Regio Esercito, fu il monte stesso, per dirlo in tono drammatico. Portare tutti i materiali necessari, gli strumenti, i macchinari e le armi attraverso gli stretti sentieri di San Rocco o Porto Pidocchio non fu fattibile, così fu necessario trovare una soluzione più pratica, ossia costruire una guidovia capace di trasportare un carrello montacarichi per mezzo di un cavo di acciaio posizionato tra Punta Chiappa e la Località Erbaio. In questo modo fu possibile trasportare i materiali di costruzione via mare a bordo di pontoni o di chiatte e tramite la guidovia risalire fino a quota 250m.

Oggi di questa struttura restano soltanto i sostegni dei binari e pochi paletti di ferro piegati sul terreno per evitare che gli escursionisti possano inciamparvi.

Superato l’ostacolo dei trasporti giunse il momento di affrontare la mancanza di manodopera e la Pudinga, la quale non poteva essere scavata con semplici colpi di piccone. Tra i lavoratori forestieri che vennero chiamati non mancarono gli esperti nell’uso degli esplosivi, soprannominati foconi,  fondamentali per neutralizzare quel determinato ostacolo, che era il conglomerato di Portofino, che impediva lo scavo delle piazzole e delle gallerie in cui sarebbero state riposte le munizioni.

Quando la direzioni dei lavori passò in mano ai tedeschi dell’Organizzazione Todt la situazione non era molto differente, per innalzare le “casematte” occorreva altra manodopera e questa venne recuperata obbligando al lavoro forzato numerosi civili, ma come afferma Gianfranco Coari non mancarono gli individui (tra Recco e Camogli) che si offrirono volontari per guadagnarsi quei pochi soldi necessari per poter badare alle proprie famiglie in quelli che erano anni troppo difficili per poterli comprendere appieno. Inoltre lavorare per la Todt significava anche la salvezza per coloro che non volevano andare a combattere per le forze della Repubblica Sociale Italiana[42].

Dirigendosi a sinistra della prima postazione tedesca, seguendo un piccolo sentiero quasi totalmente nascosto dai cespugli di lisca, si raggiunge l’ultima area del complesso, dove si trovano: un magazzino riparato per le munizioni, gli uffici degli ufficiali, l’infermeria, i dormitori, le latrine e un magazzino per la fanteria.

Quest’area è ben conosciuta da una categoria precisa di persone, i vandali, che hanno riempito queste strutture di graffiti e rovinato le parti più fragili dei muri. Nell’infermeria infatti sono stati fatti dei buchi che permettono di notare ogni componente delle pareti, quali i pannelli isolanti di populit e i mattoni forati su cui sono stati appoggiati.

Le Batterie in Combattimento

Parlando delle azioni militari, queste non furono molte e la gran parte delle munizioni venne consumata durante le esercitazioni di tiro. La prima volta in cui le Batterie di Punta Chiappa aprirono il fuoco contro il nemico fu il 28 Febbraio del 1943, contro il Sommergibile HMS Torboy della Royal Navy Britannica, al quale però non venne fatto alcun danno. Successivamente si verificarono altri scontri con degli incrociatori e degli squadroni di caccia, ma le fonti al riguardo sono scarse e non permettono di scoprire di più[43]. Non si sa nulla neppure di un loro intervento durante i bombardamenti di Recco, anche se è probabile che le postazioni antiaeree abbiano aperto il fuoco contro i bombardieri che radevano al suolo la città vicina. Soltanto proseguendo gli studi potremo scovare i tasselli mancanti.

La vita militare delle Batterie ebbe fine il 26 Aprile del 1945, quando i tedeschi abbandonarono il sito per sfuggire agli americani o consegnarsi a loro.

“Il giorno 5 Novembre 1947, mediante apposito verbale, la Direzione del Genio Militare, dava in consegna al comune di Camogli il complesso delle opere della ex 202^ Batteria di Punta Chiappa, allo scopo di garantirne la custodia. Nel 1958, dopo un contenzioso durato oltre 10 anni, tra il comune di Camogli e la Direzione Lavori del Genio Militare di Genova, i terreni confiscati furono definitivamente restituiti e i resti della ex Batteria, vennero concessi con atto esecutivo al comune di Camogli”[44].

Conclusioni

Al termine di questa relazione che cosa si evince?

Che il Promontorio di Portofino sia una fonte di sorprese è risaputo e come abbiamo visto ogni suo aspetto morfologico, geologico, climatico o floristico è capace di suscitare un intenso interesse da parte di chi lo studia e di chi lo visita.  Le Batterie a loro volta, anche se non si direbbe, permettono di poter entrare in contatto con ogni aspetto del Promontorio. Lo si è visto parlando dell’impiego del conglomerato di Portofino per costruire e mimetizzare garitte, postazioni antiaeree, oppure con la lisca per creare i pannelli isolati e volendo avrei potuto affrontare anche le questioni climatiche parlando delle uniformi indossate dai soldati a seconda della stagione e della zona del promontorio in cui si trovavano, ma farlo avrebbe richiesto fonti che al momento non sono disponibili. Il punto è che le Batterie, come località, hanno un valore storico e scientifico considerevole, da non sottovalutare e da rispettare più di quanto sia stato fatto fino ad ora. Non mancano purtroppo coloro che svalutano l’importanza di questo posto definendolo “brutto” soltanto perché legato alla seconda guerra mondiale e che scoraggiano quindi ogni intervento di salvaguardia, come non mancano coloro che sono pronti a vandalizzare le pareti disegnando oscenità di ogni tipo.

Soltanto quando verranno superati pregiudizi e diffidenze nei confronti di questi siti li si potrà valorizzare e prendere in esame insieme a tutto quello che li circonda.

Note

[1] Sito del Parco di Portofino: http://www.parcoportofino.it/ (consultato il 15/11/2020);

[2] Esiste un documento del XV secolo che attesta l’interesse a proteggere il monte da incendi e disboscamenti. Vedi Cap. “L’influenza del Clima sull’ambiente”;

[3] Sito Golfo Paradiso.it: https://www.golfoparadiso.it/prodotto/punta-chiappa/ (consultato il 21/11/2020);

[4] G. Coari, Bunker della guerra sul Monte di Portofino, Die 2. Marine Kusten – Batterie “Chiappa”, Edizioni il Geco, 2013, p. 9;

[5] “In geografia fisica, penisola o lingua di terra dal rilievo più o meno accentuato, con fianchi ripidi, protendentesi nel mare” – Definizione del Vocabolario Treccani: https://www.treccani.it/vocabolario/promontorio/ (consultato il 21/11/2020);

[6] Sito Castello Brown.com, sito utilizzato esclusivamente per il nome del Console: http://www.castellobrown.com/visita.php (Consultato il 21/11/2020);

[7] Sito del Parco di Portofino: http://www.parcoportofino.com/parcodiportofino/it/la_geomorfologia.page#.X7j0hWhKjIX (Consultato il 21/11/2020);

[8] A cura di A. Desio, Associazione Internazionale Amici del Monte di Portofino: Guida Naturalistica tascabile del Monte di Portofino, Stringa Editore, Genova, 1978.

[9] Con la sigla Cai ci si riferisce al Circolo Alpino Italiano fondato nel 1863 da un’iniziativa di Quintino Sella. Fonte: Vette Nere, quando il Fascismo vinse le Apli, saggio tratto dalla tesi triennale di Jacopo Giovannini, pubblicato sulla webzine Ignotus Magazine il 19 Dicembre 2018: https://ignotus.it/index.php/2018/12/19/vette-nere-quando-il-fascismo-vinse-le-alpi/ (Consultato il 21/11/2020);

[10] Articolo di Silvia Pedemonte, Un nascondiglio in Paradiso: ecco la mappa delle grotte nel parco di Portofino, Secolo XIX, 26 ottobre 2019: https://www.ilsecoloxix.it/levante/2016/10/21/news/un-nascondiglio-in-paradiso-ecco-la-mappa-delle-grotte-nel-parco-di-portofino-1.31282213 (Consultato il 21/11/2020);

[11] Sito del Parco di Portofino: http://www.parcoportofino.com/parcodiportofino/it/la_geologia.page#.X7lqDmhKjIX (Consultato il 21/11/2020)

[12] Il Monte Antola (1597 m), da cui prende nome questa conformazione geologica, è la cima più alta dell’omonimo Parco e si trova tra le provincie di Genova, Alessandria, Piacenza e Pavia. Sitografia, Marenostrumrapallo.it: http://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=291:pud&catid=52:artex&Itemid=153 (Consultato il 21/11/2020)

[13] Sito del Parco di Portofino: http://www.parcoportofino.com/parcodiportofino/it/la_geologia.page#.X7lqDmhKjIX (Consultato il 21/11/2020);

[14] Sito Area Marina Protetta Portofino: http://www.portofinoamp.it/ambienti-marini-costieri/la-costa (Consultato il 21/11/2020);

[15] A cura di A. Desio, Associazione Internazionale Amici del Monte di Portofino: Guida Naturalistica tascabile del Monte di Portofino, Stringa Editore, Genova, 1978.

[16] Sito Area Marina Protetta Portofino: http://www.portofinoamp.it/ambienti-marini-costieri/la-costa (Consultato il 21/11/2020);

[17] A cura di A. Desio, Associazione Internazionale Amici del Monte di Portofino: Guida Naturalistica tascabile del Monte di Portofino, Stringa Editore, Genova, 1978;

[18] Sito del Parco di Portofino:   http://www.parcoportofino.com/parcodiportofino/it/il_clima.page#.X7p7RmhKjIU (Consultato il 23/11/2020;

[19] G. Medri – A. N. Barletti, Il Monte di Portofino, Sagep editore Genova, 1972;

[20] Sito del Parco di Portofino:   http://www.parcoportofino.com/parcodiportofino/it/il_clima.page#.X7p7RmhKjIU (Consultato il 23/11/2020;

[21] Enciclopedia Treccani: https://www.treccani.it/enciclopedia/macchia-mediterranea/ (Consultato il 23/22/2020)

[22] Sito Outdoorportofino.com: https://www.outdoorportofino.com/it/promontorio-portofino-guida-vegetazione/ (Consultato il 23/11/2020);

[23] Tra le piante spontanee del monte invece merita particolare attenzione il Pino Marittimo, perché nel 1865 venne utilizzato per favorire il rimboscamento delle aree incendiate del Monte facendone spargere i semi.

[24] Sito del Parco di Portofino: http://www.parcoportofino.com/parcodiportofino/it/la_flora.page#.X7qFvWhKjIU (Consultato il 22/11/2020)

[25] A cura di A. Desio, Associazione Internazionale Amici del Monte di Portofino: Guida Naturalistica tascabile del Monte di Portofino, Stringa Editore, Genova, 1978, pp. 32-33;

[26] AGGIUNGERE DESCRIZIONE DI SANFRUTTUOSO

[27] S. Olivari, Quando sul Monte si cuoceva il Carbone, Edizione le Mani, 2007, p. 8;

[28] S. Olivari, Quando sul Monte si cuoceva il Carbone, Edizione le Mani, 2007, pp. 8-9;

[29] A cura di A. Desio, Associazione Internazionale Amici del Monte di Portofino: Guida Naturalistica tascabile del Monte di Portofino, Stringa Editore, Genova, 1978, pp. 32-33;

[30] Sito del Parco di Portofino: http://www.parcoportofino.com/parcodiportofino/it/la_flora.page#.X7qFvWhKjIU (Consultato il 22/11/2020)

[31] G. Medri – A. N. Barletti, Il Monte di Portofino, Sagep editore Genova, 1972, p. 59;

[32] Le Garitte hanno la funzione di proteggere le sentinelle durante i loro turni di guardia.

[33] G. Coari, Bunker della guerra sul Monte di Portofino, Die 2. Marine Kusten – Batterie “Chiappa”, Edizioni il Geco, 2013, p. 10;

[34] G. Coari, Bunker della guerra sul Monte di Portofino, Die 2. Marine Kusten – Batterie “Chiappa”, Edizioni il Geco, 2013, p. 23;

[35] La nominazione esatta di questi cannoni era 152/45 S 1911. Le postazioni Antiaeree erano armate invece con mitragliatrici Breda 37.

[36] G. Coari, Bunker della guerra sul Monte di Portofino, Die 2. Marine Kusten – Batterie “Chiappa”, Edizioni il Geco, 2013, p. 15;

[37] G. Sabatucci – V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 428;

[38] Sito Corriere della Sera/Blog: https://pochestorie.corriere.it/2019/08/27/14-giugno-1940-genova-sotto-il-fuoco-francese/ (Consultato il 24/11/2020)

[39] G. Coari, Bunker della guerra sul Monte di Portofino, Die 2. Marine Kusten – Batterie “Chiappa”, Edizioni il Geco, 2013, p. 8;

[40] G. Coari, Bunker della guerra sul Monte di Portofino, Die 2. Marine Kusten – Batterie “Chiappa”, Edizioni il Geco, 2013, p. 55;

[41] G. Coari, Bunker della guerra sul Monte di Portofino, Die 2. Marine Kusten – Batterie “Chiappa”, Edizioni il Geco, 2013, p. 49;

[42] G. Coari, Bunker della guerra sul Monte di Portofino, Die 2. Marine Kusten – Batterie “Chiappa”, Edizioni il Geco, 2013, p. 52-53;

[43] G. Coari, Bunker della guerra sul Monte di Portofino, Die 2. Marine Kusten – Batterie “Chiappa”, Edizioni il Geco, 2013, p. 53-54;

[44] G. Coari, Bunker della guerra sul Monte di Portofino, Die 2. Marine Kusten – Batterie “Chiappa”, Edizioni il Geco, 2013, p. 54;

Bibliografia:

A cura di A. Desio, Associazione Internazionale Amici del Monte di Portofino: Guida Naturalistica tascabile del Monte di Portofino, Stringa Editore, Genova, 1978;

Medri – A. N. Barletti, Il Monte di Portofino, Sagep editore Genova, 1972;

G. Coari, Bunker della guerra sul Monte di Portofino, Die 2. Marine Kusten – Batterie “Chiappa”, Edizioni il Geco, 2013;

S. Olivari, Quando sul Monte si cuoceva il Carbone, Edizione le Mani, 2007, p. 8;

G. Sabatucci – V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 428;

Sitografia:

www.parcoportofino.it

www.portofinoamp.it

Articolo di Silvia Pedemonte, Un nascondiglio in Paradiso: ecco la mappa delle grotte nel parco di Portofino, Secolo XIX, 26 ottobre 2019

www.golfoparadiso.it

www.castellobrown.com

www.Marenostrumrapallo.it

www.agenziabozzo.it

www.kontrokultura.it

www.outdoorportofino.com

www.treccani.it

Immagini:

Figura 1: Sito del parco di Portofino, http://www.parcoportofino.com/parcodiportofino/fr/san_rocco_batterie.page#.X7Ew98hKjIV (consultato il 15/11/2020)

Figura 2:  Immagine satellitare estratta da Google Maps sull’area delle Batterie di Punta Chiappa.

Figura3: Collezione privata;

Figura 4: Sito Area Marina Protetta Portofino: http://www.portofinoamp.it/ambienti-marini-costieri/la-costa (Consultato il 21/11/2020)

Figura 5:

Figura 6: Sitografia, Marenostrumrapallo.it: http://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=291:pud&catid=52:artex&Itemid=153 (Consultato il 21/11/2020)

Figura 7: Pianta di Mirto, collezione privata.

Figura 8: Sito Kontrokultura: https://www.kontrokultura.it/29753/baia-di-san-fruttuoso-tra-portofino-e-camogli/amp/ (Consultato il 23/11/2020)

Figura 9: https://en.wikipedia.org/wiki/Italian_monitor_Fa%C3%A0_di_Bruno (Consultato il 24/22/2020)

Figura 10: Collezione Privata

Figura 11: http://www.portofinoamp.it/storia-locale/i-segni-della-seconda-guerra-mondiale

Figura 12: https://en.wikipedia.org/wiki/Italian_monitor_Fa%C3%A0_di_Bruno#/media/File:Monitor_Faa_di_Bruno.png (Consultato il 21/11/2020)

Figura 13: http://notonlytrekking.blogspot.com/2016/12/sentiero-delle-batterie-da-san-rocco.html

Figura 14: Collezione privata;

Figura 15: https://digilander.libero.it/fratbigio/Racconti/monte.html (consultato il 21/11/2020)

Figura 16: http://www.portofinoamp.it/storia-locale/i-segni-della-seconda-guerra-mondiale (Consultato il 21/11/2020)

Figura 17: http://www.portofinoamp.it/storia-locale/i-segni-della-seconda-guerra-mondiale (Consultato il 24/11/2020)

Figura 18: Archivio Camogli Antica: http://www.agenziabozzo.it/camogli_ieri/CAMOGLI_ANTICA_web/Camogli_Foto_Antiche_1101_Recco_Il_ponte_ed_centro_cittadino_distrutti_dalle_bombe_lato_a_mare_1944.htm

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