I mosaici romani di Negrar

Esistono luoghi in cui è necessario spingersi in profondità per scoprirne i tesori nascosti, la verità più intima, il passato sepolto. È così per gli abissi del mare, per le molecole e gli atomi della vita, per l’anima. È così anche per quei frammenti di esistenza dimenticati o celati nel sottosuolo, che aspettano solo di essere ritrovati. A volte, però, quello che conta non è tanto la profondità a cui si deve arrivare, quanto il punto esatto in cui cercare.

È questo il caso della complessa operazione di scavi svolta dalla Soprintendenza di Verona nel 2019 in un vigneto privato della Valpolicella (fig. 2), dove nel 1887 furono rinvenuti casualmente resti di una pavimentazione a mosaico di epoca romana. L’area fu studiata per quasi un secolo: le prime ricerche, infatti, vennero avviate nel 1922, quando, nel corso di alcune operazioni agricole, emersero altri lacerti musivi. Il progresso dei lavori e i ritrovamenti vennero documentati da un diario di scavo, da un rilievo in pianta e da alcune foto, e permisero agli archeologi di identificare quell’area come un’antica villa rustica romana, portandone alla luce una porzione di 270 mq, relativa al solo settore residenziale[1]. Quello che non venne segnalato, però, fu la precisa collocazione dei rinvenimenti[2].

La necessità di localizzare precisamente la villa e di rilevarne la piena estensione fu, dunque, sentita come una priorità per l’archeologo Gianni de Zuccato, funzionario della Soprintendenza di Verona, che progettò i nuovi interventi di scavo[3]. In seguito ad una serie di tentativi falliti, condotti in via preliminare attraverso l’uso di un georadar, la grande riscoperta avvenne nell’agosto 2019 grazie all’apertura di numerose trincee che permisero di rinvenire, in un primo momento, nuove strutture della villa e, successivamente, parte della pavimentazione a mosaico già scoperta nel 1922 e a quel tempo interpretata come la decorazione del lato meridionale di un portico colonnato, probabilmente aperto su un cortile interno. Questa volta, inoltre, tramite georeferenziazione[4], è stato possibile mettere in relazione le porzioni della villa portate alla luce in questa occasione a quelle scoperte in passato, posizionandole precisamente nello spazio.

Ciò che si è parzialmente riportato alla luce è un’antica villa di campagna risalente alla media età imperiale (III secolo d.C.), di cui i primi scavi avevano fatto riemergere un’ampia sala rettangolare del settore residenziale, vari ambienti laterali e un portico settentrionale, tutti decorati a mosaico. In particolare, la decorazione del pavimento della sala “maggiore” presenta una suddivisione in cinque riquadri, uno centrale (detto emblema), raffigurante una scena mitologica (fig. 4), e quattro laterali con putti in veste d’auriga, mentre negli altri ambienti i pavimenti sono decorati a motivi geometrici (fig. 1).

Nel 1887, tre di questi riquadri vennero strappati dal pavimento e trasportati al Museo Civico di Verona, scatenando una serie di polemiche relative al danneggiamento dei pannelli nel corso del loro trasporto e alla loro vendita, che fu oggetto di lunghe trattative tra il proprietario del terreno e il museo[5]. Inoltre, come risulta dal comunicato stampa della Soprintendenza, in corrispondenza delle diverse sale sono stati trovati vari oggetti, come alcune “monete, tra cui un sesterzio di Lucio Vero (161-169 d.C.), un piccolo braccialetto, un anello e un ago da cucito in bronzo, un campanello e i piedi di una piccola figura in terracotta con tracce di doratura”[6].

I mosaici riportati alla luce durante gli ultimi scavi presentano un ottimo stato di conservazione. Le tinte accese delle tessere in pietra, principalmente blu e vermiglio, ma anche bianco, rosa, arancio e viola, sono testimoni di un’epoca di trasformazione della tecnica e dei contenuti della decorazione musiva, nei quali la narrazione di eventi storici e il dato naturale cedono il posto al colore e alle varie forme geometriche in cui esso viene modulato.

Nel caso di Negrar, intorno ai riquadri figurati si sviluppano motivi a intreccio e ad onda, delimitati in alto e in basso da una fascia con decorazione a pelta[7] (fig. 3); negli altri ambienti, invece, prevalgono le forme a nodi e intrecci, come i “nodi di Salomone” e i “nodi a otto capi”, inscritte in forme geometriche a croce, ottagoni e quadrati (figg. 5, 6).

La tecnica del mosaico fu introdotta a Roma in seguito alla conquista dei territori greci e alla conseguente massiccia importazione dei costumi, delle tradizioni e, in generale, della cultura di quella civiltà[8]. Veniva usata per impermeabilizzare ed abbellire i pavimenti in terra battuta e il suo impiego si estese rapidamente non solo alle dimore dell’élite, ma anche alla decorazione di mercati, terme, templi, giardini e abitazioni meno lussuose, ma sempre di un certo tenore. Si tratta di una tecnica derivata dall’accostamento di tesserae di varie forme, dimensioni e colori, ricavate da diversi materiali, come il basalto, il travertino, marmi policromi, diaspri, pasta vitrea e ceramica.

Pur possedendo sue specificità tecniche e contenutistiche, si può dire che l’arte del mosaico a Roma segua sostanzialmente lo sviluppo della pittura. Del resto, il punto di partenza per la realizzazione di una decorazione a mosaico era proprio il disegno: elaborato prima su un cartone, esso poi veniva trasferito sul pavimento (o sulla parete) per costituire la traccia da seguire per l’applicazione delle tessere. Quest’ultimo compito era svolto dal tessellarius, che, con estrema precisione, le inseriva su un sottile strato di intonaco. A ciò si aggiunga una fase preliminare di preparazione del suolo, seguendo una prassi indicata sia da Vitruvio (De Architectura, I secolo a.C.) che da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, I secolo d.C.), e che consisteva nella realizzazione di tre strati successivi: lo statumen, ossia un primo livello composto di ciottoli di grosse dimensioni, il rudus, uno strato intermedio costituito da tre parti di schegge di pietra e una di calce, e infine il nucleus, fatto di uno strato di cemento[9] .

Fino al II secolo d.C., il modello greco ellenistico risulta molto presente nella produzione pittorica e musiva romana, sia attraverso l’attività di maestranze provenienti dalla Grecia, dalla Siria o da Alessandria, sia attraverso l’assorbimento e il riutilizzo di quelle fonti da parte di pittori locali. Ne è un esempio il cosiddetto mosaico delle colombe di Villa Adriana, a Tivoli: all’interno di una sala del “piccolo palazzo” si trova un grande mosaico a fondo bianco e motivi vegetali; al suo interno, esso racchiude un riquadro centrale, detto emblema, raffigurante un vaso dorato colmo d’acqua, con anse a maniglia e il bordo sbalzato, sul quale quattro colombe si sono posate per abbeverarsi (fig. 8). La ricerca dell’aderenza al vero, alla natura, come si intuisce dall’attenzione per la riproduzione dei riflessi della luce sull’acqua e sulla superficie curva del vaso, è proprio caratteristica della produzione pittorica e musiva di medio e tardo ellenismo[10], riflessa, in ambito romano, particolarmente nella decorazione delle abitazioni di Pompei ed Ercolano. La raffinatezza della decorazione centrale, inoltre, risiede non solo nei colori, tra cui spicca il blu intenso dello sfondo, ma nella tecnica dell’opus vermiculatum con cui venne realizzata: il nome rimanda all’immagine di “piccoli vermi”, proprio poiché costituita da tessere molto piccole, in questo caso in gran parte di pasta vitrea[11], adatte a composizioni fini e ricche di dettagli, che permettevano di riprodurre anche sfumature e rotondità. Si tratta di una copia da un celebre mosaico ellenistico realizzato da Sosos, mosaicista di Pergamo vissuto nella prima metà del II secolo a.C., e l’unico della sua categoria ad essere stato ricordato per sue creazioni[12]. Tra queste, Plinio ricorda una particolare tipologia di “natura morta”: la raffigurazione dei resti del banchetto caduti per terra, definita asàrotos òikos, ossia la “stanza non ancora spazzata”[13] .

Come è stato già anticipato, all’epoca in cui vennero realizzati i mosaici di Negrar, la tecnica e i contenuti della produzione musiva erano in via di trasformazione, riflettendo i profondi mutamenti in atto: tra il II e il III secolo d.C., infatti, a Roma si registrò una decisa rottura con le forme e i modelli ellenistici, in concomitanza con un periodo di profonda crisi governativa e spirituale, che avviò l’impero e, con sé, il mondo antico verso la loro fine. L’attenta rappresentazione della realtà venne meno, a favore di una maggiore libertà espressiva e di una semplificazione dei contenuti. Scomparvero le vedute spaziali prospettiche e i paesaggi, mentre alla figura umana vennero accostati sempre di più motivi decorativi a carattere geometrico o floreale. In particolare, i mosaici di III secolo si caratterizzano principalmente per la diffusa presenza di motivi a intreccio e per l’utilizzo di tessere di dimensioni più grandi. Nei riquadri centrali vengono rappresentate soprattutto scene mitologiche e, in alcuni casi, immagini legate alle attività specifiche della regione, come la fauna locale, la caccia, la pesca e l’agricoltura.

Questo è, ad esempio, il caso della decorazione musiva ritrovata a Luni[14] nella cosiddetta Domus dei Mosaici, costruita in tarda età repubblicana e ristrutturata tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d.C., quando venne aggiunto un porticato sviluppato intorno ad un cortile con pozzo e vasca centrali. Tra i vari mosaici, in quello dedicato al dio Oceano figurano varie immagini di pesci del nostro mare. Il resto della pavimentazione è poi caratterizzato da una suddivisione a riquadri contenenti medaglioni floreali e una cornice con intrecci geometrici e tralci d’edera[15] che partono da due coppe (fig. 10).

Rispetto alla domus di Luni, la decorazione musiva di Negrar presenta una decisa preponderanza di motivi geometrici rispetto alla presenza dell’elemento figurale. Ciononostante, bisogna tenere conto della diversa funzione dei due complessi: la prima, appunto, una domus, mentre la seconda una villa di campagna, abitata quindi dal proprietario solo occasionalmente. Inoltre, molto ancora ci sarà da dire in futuro sui mosaici della Valpolicella. Infatti, dopo la scoperta dello scorso agosto, gli scavi sono stati interrotti per permettere la vendemmia ai proprietari del terreno e la quarantena ha poi prolungato l’attesa, ma da questo maggio i lavori sono ripresi a pieno regime: verrà probabilmente ampliata la zona di scavo, saranno effettuate delle stratigrafie, e, in seguito alla messa in sicurezza dell’area, verranno progettate le modalità di accesso e fruizione da parte del pubblico[16]. Tutto questo sarebbe impossibile senza la disponibilità e la collaborazione dei proprietari del terreno, che hanno compreso il valore di una tale scoperta e, non senza difficoltà, possono oggi riscoprire, da un nuovo punto di vista, la ricchezza di quel suolo.

APPENDICE: Il Recioto “scampà”.

L’area interessata dallo scavo archeologico fa parte della Valpolicella, luogo d’origine del vino Recioto, un passito rosso ottenuto dalla fermentazione dell’uva corvina, del corvinone e della rondinella, tutte autoctone, dal momento della vendemmia fino a gennaio, seguendo una pratica che risale al Cinquecento.

Curiosamente, una variante di questa produzione venne realizzata per sbaglio, lasciando fermentare più a lungo una parte delle botti di recioto. Il vino “dimenticato”, in cui gli zuccheri si consumarono completamente, diede vita all’Amarone, chiamato così perché la sua lunga fermentazione lo rende del tutto secco. Da qui il nome di recioto “scampà”, ossia “scappato”. Ciononostante, dopo il grande successo riscontrato negli anni Novanta, oggi rimane uno dei vini rossi più apprezzati in Italia[17].

Bibliografia

  • Bianchi Bandinelli, R., Torelli, M., L’arte dell’antichità classica. Etruria-Roma, De Agostini Scuola, UTET, 2008, scheda 146
  • Bejor, G., Castoldi, M., Lambrugo, C., Arte greca. Dal decimo al primo secolo a.C., Mondadori Università, Milano, 2008, pp. 414-422
  • Piacentin, S., La villa romana di Negrar: storia delle ricerche, in Annuario Storico della Valpolicella, XXVII, (2010-2011), pp. 53-76

Sitografia

  • Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXVI, 184-187. Fonte: Lacus Curtius, https://penelope.uchicago.edu/Thayer/L/Roman/Texts/Pliny_the_Elder/36*.html
  • comunicato stampa della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio, paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, http://www.sbap-vr.beniculturali.it/news/negrar-vr-villa-romana-riscoperta-e-nuove-scoperte
  • Madinella, in L’Arena, 6 agosto 2019. https://www.larena.it/territori/valpolicella/negrar/nuovi-mosaici-sotto-al-vigneto-1.7535549
  • Pizzuoli, in Tuttatoscana. https://tuttatoscana.net/storia-e-microstoria-2/luni-nellantica-etruria/
  • Maida, in Art Tribune, 27 maggio 2020. https://www.artribune.com/arti-visive/archeologia-arte-antica/2020/05/scoperto-sotto-i-vigneti-della-valpolicella-in-veneto-stupendo-mosaico-di-epoca-romana/
  • Enopillole, Italian Wine Lovers. https://www.italianwinelovers.it/enopillole/amarone-il-vino-nato-per-errore.htm

Immagini

  • Figura 1. Dettaglio dei mosaici a motivi floreali e ad intreccio. Fonte: L’Arena, 6 agosto 2019, https://www.larena.it/territori/valpolicella/negrar/nuovi-mosaici-sotto-al-vigneto-1.7535549
  • Figura 1. I primi mosaici emersi dagli scavi nel vigneto di Negrar. Fonte: L’Arena, 6 agosto 2019, https://www.larena.it/territori/valpolicella/negrar/nuovi-mosaici-sotto-al-vigneto-1.7535549
  • Figura 3. Operatore al lavoro negli scavi. Fonte: L’Arena, 6 agosto 2019, https://www.larena.it/territori/valpolicella/negrar/nuovi-mosaici-sotto-al-vigneto-1.7535549
  • Figura 4. Pannello raffigurante una “scena mitologica”, uno dei tre riquadri strappati nel 1887. Museo Archeologico del Teatro Romano, Verona. Fonte: Piacentin, S., La villa romana di Negrar: storia delle ricerche, in Annuario Storico della Valpolicella, XXVII, (2010-2011), pp. 53-76
  • Figura 5. Motivo a nodo di Salomone, V-VI secolo, Domus dei Tappeti di Pietra, Ravenna. Fonte: Domus dei Tappeti di Pietra, https://domusdeitappetidipietra.it/
  • Figura 6. Mosaici pavimentali con motivi a nodo di Salomone e a nodo a otto capi, racchiusi in riquadri ottagonali, scavo del 2019, Negrar. Fonte: comunicato stampa della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio, paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, http://www.sbap-vr.beniculturali.it/news/negrar-vr-villa-romana-riscoperta-e-nuove-scoperte
  • Figura 7. Stratigrafia virtuale di un mosaico pavimentale secondo Vitruvio. Fonte: The Paul Getty Museum, Mosaics In Situ Project, Illustrated Glossary, 2003
  • Figura 8. Mosaico delle colombe di Villa Adriana, Tivoli, 85 x 98 cm, Musei Capitolini, Roma. Fonte: Musei Capitolini, http://www.museicapitolini.org/it/percorsi/percorsi_per_sale/palazzo_nuovo/sala_delle_colombe/mosaico_delle_colombe
  • Figura 9. Asàrotos òikos, Musei Vaticani, Roma. Fonte: Musei Vaticani, http://www.museivaticani.va/content/museivaticani/en/collezioni/musei/museo-gregoriano-profano/Mosaico-dell-asarotos-oikos.html
  • Figura 10. Dettaglio del mosaico del dio Oceano, Domus dei mosaici, Luni. Fonte: Tuttatoscana, https://tuttatoscana.net/storia-e-microstoria-2/luni-nellantica-etruria/

Note:

[1] Le ville romane extra-urbane, quindi collocate al di fuori delle mura cittadine, erano caratterizzate da una doppia funzione: una residenziale, abitativa, e una produttiva, ossia legata all’attività agricola svolta sfruttando i territori circostanti. La struttura architettonica delle ville rifletteva questa ripartizione, prevedendo un’area riservata alla vita privata del proprietario e della sua famiglia (pars dominica), e una all’alloggio dei braccianti ed alle necessità del lavoro agricolo (pars rustica)

[2] “Lo scavo del 1922 […] purtroppo risulta privo di una collocazione su mappa”. Comunicato stampa della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza. http://www.sbap-vr.beniculturali.it/news/negrar-vr-villa-romana-riscoperta-e-nuove-scoperte, ultima consultazione 22 giugno 2020

[3] Approvati dal Soprintendente Fabrizio Magani e realizzati operativamente dall’archeologo Alberto Manicardi della Sap (Società archeologica padana). Camilla Madinella, in L’Arena, 6 agosto 2019. https://www.larena.it/territori/valpolicella/negrar/nuovi-mosaici-sotto-al-vigneto-1.7535549, ultima consultazione 19 giugno 2020

[4] Si tratta di una tecnica di cartografia computerizzata, utilizzata per associare coordinate geografiche ad un oggetto grafico. Per approfondimenti sulla tecnica della georeferenziazione, consultare il sito 3DMETRICA, https://3dmetrica.it/georeferenziazione/, ultima consultazione 22 giugno 2020

[5] Piacentin, S., La villa romana di Negrar: storia delle ricerche, in Annuario Storico della Valpolicella, XXVII, (2010-2011), pp. 53-76

[6] Comunicato stampa della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza. http://www.sbap-vr.beniculturali.it/news/negrar-vr-villa-romana-riscoperta-e-nuove-scoperte, ultima consultazione 26 giugno 20202

[7] Motivo che risale alla forma di un particolare tipo di scudo molto leggero, a mezzaluna e con due incavi nella parte superiore, usato nell’antica Grecia.

[8] “Pavimenta originem apud Graecos habent elaborata arte picturae ratione, donec lithostrota expulere eam.”, Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXVI, 184. Fonte: Lacus Curtius, https://penelope.uchicago.edu/Thayer/L/Roman/Texts/Pliny_the_Elder/36*.html, ultima consultazione 20 giugno 2020

[9] Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXVI, 186-187. Fonte: Lacus Curtius, https://penelope.uchicago.edu/Thayer/L/Roman/Texts/Pliny_the_Elder/36*.html, ultima consultazione 20 giugno 2020; Vitruvio, De Architectura, VII, 6. Fonte: Lacus Curtius, https://penelope.uchicago.edu/Thayer/L/Roman/Texts/Vitruvius/7*.html, ultima consultazione 20 giugno 2020

[10] Bejor, G., Castoldi, M., Lambrugo, C., Arte greca. Dal decimo al primo secolo a.C., Mondadori Università, Milano, 2008, pp. 414-422

[11] Bianchi Bandinelli, R., Torelli, M., L’arte dell’antichità classica. Etruria-Roma, De Agostini Scuola, UTET, 2008, scheda 146

[12] “Celeberrimus fuit in hoc genere Sosus, qui Pergami stravit quem vocant asaroton oecon, quoniam purgamenta cenae in pavimentis quaeque everri solent velut relicta fecerat parvis e tessellis tinctisque in varios colores. mirabilis ibi columba bibens et aquam umbra capitis infuscans; apricantur aliae scabentes sese in canthari labro”. Il passo descrive l’immagine delle colombe che bevono dal bordo di un vaso, proiettando il loro riflesso sull’acqua (“aquam umbra … infuscans”). Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXVI, 184. Fonte: Lacus Curtius, https://penelope.uchicago.edu/Thayer/L/Roman/Texts/Pliny_the_Elder/36*.html, ultima consultazione 20 giugno 2020

[13] Bejor, G., Castoldi, M., Lambrugo, C., Arte greca. Dal decimo al primo secolo a.C., Mondadori Università, Milano, 2008, p. 415

[14] La colonia romana di Luna prende il nome forse dalla dea Selene-Luna. Fu fondata nel 177 a.C. alla foce del fiume Magra e la sua fortuna in epoca antica fu legata principalmente alla vicinanza col porto, oggi interrato, ed alle sue ricche cave di marmo apuano. Le famiglie che vi prosperarono furono all’origine della costruzione di numerosi templi, statue e dimore lussuose. Salvina Pizzuoli, in Tuttatoscana. https://tuttatoscana.net/storia-e-microstoria-2/luni-nellantica-etruria/, ultima consultazione 19 giugno 2020

[15] Salvina Pizzuoli, in Tuttatoscana. https://tuttatoscana.net/storia-e-microstoria-2/luni-nellantica-etruria/, ultima consultazione 19 giugno 2020

[16] Desirée Maida, in Art Tribune, 27 maggio 2020. https://www.artribune.com/arti-visive/archeologia-arte-antica/2020/05/scoperto-sotto-i-vigneti-della-valpolicella-in-veneto-stupendo-mosaico-di-epoca-romana/,ultima consultazione 18 giugno 2020

[17]  Enopillole, Italian Wine Lovers. https://www.italianwinelovers.it/enopillole/amarone-il-vino-nato-per-errore.htm, ultima consultazione 19 giugno 2020