Re o macellaio? Vittorio Emanuele II era un Savoia?

Quali sono le reali origini di Vittorio Emanuele II? Il Padre della Patria era realmente un Savoia, o un impostore?

A generare queste domande sono svariate accuse secondo le quali il primo Re d’Italia non era altri che il figlio di un macellaio e non il legittimo erede del Re di Sardegna Carlo Alberto. Supposizioni e nulla più, dal momento che non si è mai riusciti a fornire una risposta concreta al riguardo, ma ovviamente la faccenda non manca di due schieramenti opposti che cozzano tra loro cercando di prevalere l’uno sull’altro. Il lato avverso a Vittorio Emanuele II marca la sua mancanza di un legame con i Savoia dicendo: “Non assomiglia per nulla a suo padre o a suo fratello”. Mentre il lato dalla parte del sovrano riconosce che, nonostante le differenze tra padre e figlio siano innegabili, i lineamenti di una persona non sono certo i soli punti di riferimento da considerare per determinarne le origini.

La matrice di queste dicerie risale alla sera del 16 settembre 1822[1]. Vittorio Emanuele II aveva due anni e dormiva nella sua culla a Poggio Imperiale (Firenze). A prendersi cura di lui c’era la balia Teresa Zanotti Rasca, le cui premure furono fautrici di un terribile incidente.

Nonostante la protezione di una zanzariera intorno alla culla, il piccolo Vittorio Emanuele[2] veniva ugualmente punto dalle zanzare, che infestavano la stanza, e questo portò la balia a volersi liberare degli insetti una volta per tutte… con una candela. Probabilmente non era necessario il “senno del poi” per comprendere quanto fosse sconsiderata come idea, ma nulla frenò la donna dal compiere la sua opera e cercare di incenerire i fastidiosissimi insetti, maneggiando la candela vicino a tessuti e lenzuola sottili quanto infiammabili.

Per colpa delle sue disattenzioni, Teresa Zanotti finì con l’incendiare la culla dove dormiva il piccolo Vittorio Emanuele. Le fiamme si sparsero voraci in pochi istanti, obbligando la balia a buttarsi tra esse per salvare il bambino, del quale stava cercando di prendersi cura. Correndo fuori dalla stanza urlò implorando che qualcuno venisse in loro aiuto, capitando proprio di fronte a Maria Teresa, madre di Vittorio Emanuele II, provocandole uno choc tale da farle perdere i sensi.

Data l’entità dell’incendio, sia Vittorio Emanuele che Teresa non rimasero illesi. Il primo, a quanto sembra, guarì rapidamente da leggere scottature riportate alla mano destra e al fianco sinistro. La seconda invece riportò ustioni per le quali morì il 6 ottobre; tragico epilogo del tutto inaspettato stando alle lettere scritte dallo stesso Carlo Alberto subito dopo l’incidente.

Il 17 settembre raccontava, al suo attendente Barbania, che:

 “Grazie a Dio tutti stanno meglio, e fidando nella sua potente assistenza possiamo sperare che[3] né il piccino, né la Signora Zanotti conserveranno con l’andar del tempo nessuna funesta ricordanza di questo incidente[4]”.

Anche il 28 settembre scriveva confermando quanto:

Per noi tutto va meglio. Vittorio è quasi guarito: si spera che oggi o domani potrà passeggiare fuori dal palazzo; in questo tempo egli ha dovuto stare a letto, si è fatto anche più grande. La Signora Zanotti è assolutamente fuori pericolo.”

Effettivamente sembra che la balia stesse attraversando una fase di miglioramento, alla quale seguì un tragico tracollo per il quale non ci fu rimedio[5], mentre il piccolo Vittorio Emanuele fu molto più fortunato, suscitando, a causa di questo, la leggenda che non lo vedeva più come legittimo erede di Carlo Alberto, ma come figlio di un umile macellaio.

Le voci madri della leggenda suggerivano che anche Vittorio Emanuele, come la Teresa, fosse morto per le ferite riportate nell’incendio, obbligando i suoi genitori a dover trovare in fretta e furia un sostituto all’erede mancato, trovandolo nel figlio di due anni del macellaio Tanaca, anche lui di Poggio Imperiale.

Quali sono tuttavia gli elementi a favore di questa leggenda? Il primo punto da considerare è legato alla necessità politica, per Carlo Alberto, di disporre di un erede maschio. In quel momento Maria Teresa stava aspettando il loro secondo figlio, Ferdinando, il che può far supporre che fosse inutile rimediare ad un eventuale dipartita del primogenito, ma questo soltanto se fossero stati a conoscenza del sesso del bambino. Il futuro nascituro poteva essere un maschio come una femmina, non essendoci gli stessi macchinari di adesso era impossibile scoprirlo prima del parto, quindi possiamo ritenere possibile l’eventuale necessità di dover sostituire Vittorio Emanuele con un altro bambino di due anni che gli somigliasse.

Il secondo punto, già citato sopra, riguarda la mancanza di somiglianze tra padre e figlio. Vittorio Emanuele II era tozzo, tarchiato, aveva gusti e atteggiamenti totalmente differenti da quelli del padre e ciò favorì la crescita della leggenda nel corso del tempo, sebbene contro di essa ci fossero ben altri fattori.

In primo luogo, il bisogno di dover trovare un erede maschio veniva annullato da fatto che Carlo Alberto e sua moglie erano ancora giovani e potevano avere altri figli. In secondo luogo, Carlo Alberto era un uomo fortemente legato alla religione, la quale condizionava molti elementi del suo essere, tra cui la sua “concezione della regalità[6]”. I re erano tali per grazia di Dio e questo impediva a Carlo Alberto di cedere il trono del regno di Sardegna ad un impostore.

Uno dei principali sostenitori della leggenda fu Massimo d’Azeglio, politico e scrittore italiano, che insieme ad altri aristocratici mal apprezzava il carattere di Vittorio Emanuele, al quale bisogna aggiungere il malanimo covato da certi elementi verso la monarchia sabauda.

Alla fine risulta impossibile dare una conferma alle voci che vedono il Padre della Patria come figlio di un macellaio e non di Carlo Alberto. Non ci sono prove, non ci sono documenti, solo dicerie da parte di oppositori e cortigiani amanti dei pettegolezzi.

In quanto alla sventurata Teresa Zanotti, il suo sacrificio non finì nel dimenticatoio. Al marito venne attribuita una pensione valida per dieci anni, poi resa a vita da Vittorio Emanuele II, mentre in nome di lei venne realizzata una lapide da esporre nella villa di Poggio Imperiale, con la seguente incisione:

“MDCCCXXII – Qui – Vittorio Emanuele di Savoia – Ancora fanciullo – Minacciato della vita da improvviso incendio – La generosa devozione della nutrice – con sacrificio di sé – serbava – ai futuri destini d’Italia”

Note:

[1] P. Pinto: Vittorio Emanuele II, il Re avventuriero, Mondadori, Milano, 1995, p.35

[2] S. Bertoldi: Il Re che tentò di fare l’Italia, vita di Carlo Alberto di Savoia, p.149

[3] P. Pinto: Vittorio Emanuele II, il Re avventuriero, p.38

[4] S. Bertoldi: Il Re che tentò di fare l’Italia, vita di Carlo Alberto di Savoia, p.151

[5] P. Pinto: Vittorio Emanuele II, il Re avventuriero, p.38

[6] P. Pinto: Vittorio Emanuele II, il Re avventuriero, p.39

Bibliografia:

  1. Pinto: Vittorio Emanuele II, il Re avventuriero, Mondadori, Milano, 1995;
  2. Bertoldi: Il Re che tentò di fare l’Italia, vita di Carlo Alberto di Savoia.

Sitografia:

https://rottasutorino.blogspot.com/2014/10/vittorio-emanuele-era-figlio-di-carlo-alberto.html

http://www.pilloledistoria.it/6940/storia-contemporanea/pettegolezzi-storici-vittorio-emanuele-ii-era-figlio-di-un-macellaio