Rubens, maestro del ritratto nella Genova del Siglo de Oro

Nelle sue molteplici declinazioni formali, compositive e concettuali (di parata, ufficiale, privato, borghese, di gruppo, autoritratto) a partire dal Seicento il genere del ritratto presenta una complessità e una ricchezza di varianti ben superiori al pur glorioso modello cinquecentesco, interpretando in modo nuovo la domanda di un pubblico più vasto e le nuove esigenze di carattere ideologico e morale della società del tempo.

La fama acquisita nel corso del Cinquecento presso le maggiori corti europee dai ritratti realizzati da artisti italiani come Tiziano, Moroni e Bronzino – solo per citarne alcuni – pose le basi per un’amplissima diffusione della tipologia artistica a livello europeo nel secolo successivo, imponendo la sua presenza all’interno delle collezioni private nobili e alto-borghesi e arrivando a meritare una menzione particolare all’interno dei manuali teorici sull’arte.

Così, il ritratto seicentesco, o barocco, si affermò come mezzo principale di presentazione e celebrazione personale nell’ampio e variegato contesto dell’alta società europea, fissando e tramandando non solo le caratteristiche fisiche dei soggetti, ma anche i loro valori morali e soprattutto il loro ruolo e status sociale. A tale scopo, l’attenzione dell’artista doveva volgersi tanto ai caratteri fisionomici del soggetto, riprodotti in modo tale da comunicare all’osservatore anche il suo animo, quanto alla rappresentazione del costume, del contesto spaziale in cui inserire la figura, e di tutto quel corredo di attributi utili ad una più puntuale individuazione del suo rango o dell’attività professionale in cui il soggetto stesso si riconosceva ed era riconosciuto dalla società a lui contemporanea.

Grandissimi committenti di ritratti furono, in particolare, le nobili famiglie genovesi, come gli Spinola, i Balbi, i Durazzo, i Doria, o ancora i Pallavicini, mosse dall’urgenza auto-celebrativa derivata da una singolare e fortunata congiunzione di situazioni favorevoli per Genova ed il suo patriziato. A partire dalla seconda metà del Cinquecento e per tutta la prima metà del Seicento, infatti, la città visse uno dei periodi più floridi della sua storia, chiamato anche “Siglo de los Genoveses” (“il secolo dei genovesi”): con questa espressione, derivata dalla storia economica, si designa “la fase di preminenza degli uomini d’affari della Repubblica di Genova nel servizio finanziario degli Asburgo di Spagna” (1). Si tratta di un lungo periodo di grande prosperità che si estende all’incirca dalla salita al potere di Carlo V (1519-1556) alla pace di Vestfalia del 1648. La Repubblica di Genova seppe in questi anni rendersi fondamentale per la corona spagnola, prestando il proprio denaro – attività dalla quale ricavava interessi elevatissimi – il proprio porto – postazione sicura per il transito delle milizie, delle armi e del denaro stesso, dalla Penisola Iberica ai Paesi Bassi del Sud – e anche i propri “signori della guerra” (2), come Andrea Doria e Ambrogio Spinola, per la gestione di alcuni dei principali conflitti intrapresi dall’impero spagnolo.

In cambio, Genova si arricchì grandemente, trasformandosi in una metropoli che nobili ed esponenti dell’alta borghesia si impegnarono ad adornare con sontuose dimore, ville suburbane e grandi pale d’altare per le chiese cittadine.

Viene da sé che, in questo turbinio di eventi, l’alta società genovese, dai giovani rampolli alle personalità più affermate, desiderasse manifestare tutta la propria opulenza e magnificenza perennizzando la propria effigie all’interno di sontuosi ritratti.

Monumentali sfondi architettonici, abiti mozzafiato e preziosissimi gioielli erano elementi quasi imprescindibili per queste raffigurazioni, che venivano orgogliosamente mostrate nelle diverse stanze delle ricche dimore genovesi. Ovviamente, anche la scelta dell’artista era importante. Fu così che i soggiorni a Genova di Pieter Paul Rubens (a più riprese tra il 1604 e il 1607) e del suo allievo Antoon van Dyck (tra il 1621 e il 1627) divennero delle straordinarie occasioni di committenza, traducendosi in dipinti altrettanto straordinari. Possedere un ritratto di mano di Rubens e di Van Dyck divenne ben presto una vera e propria moda alla quale non ci si poteva sottrarre.

Uno dei risultati emblematici di questo clima così effervescente è il ritratto della Marchesa Brigida Spinola Doria, dipinto da Rubens nel 1606 ed oggi conservato alla National Gallery of Art di Washington. La protagonista del ritratto proveniva da una delle famiglie più antiche e importanti di Genova, quella degli Spinola, insieme ai Grimaldi, ai Doria e ai Fieschi di Lavagna. Fu probabilmente il neo-sposo della Marchesa, Giacomo Massimiliano Doria, a commissionare il dipinto per celebrare le nozze avvenute l’anno prima, nel 1605, quando lei aveva 21 anni.

Rubens la ritrasse vestita di un meraviglioso abito di seta bianca, ornato di preziosi dettagli in oro e smalti. Una maestosa gorgiera le incornicia il giovane e luminosissimo volto e i cappelli ricci sono raccolti in una altrettanto ricca acconciatura adornata di perle. Anche il contesto spaziale e architettonico alle sue spalle contribuisce alla resa di un’immagine di estrema eleganza e raffinatezza: un drappo color porpora scende a terra incorniciando la figura come un’aura, creando un potente contrasto cromatico col bianco dell’abito, mentre le pareti in marmo e pietra rappresentate in scorcio ricordano la monumentalità dei sontuosi palazzi genovesi del tempo.

Eccezionalmente, è giunto fino ai nostri giorni il disegno preparatorio realizzato dall’artista per questo ritratto, oggi conservato alla Morgan Library di New York. Oltre al suo valore artistico intrinseco, il bozzetto in questione costituisce una preziosa testimonianza della pratica adottata dall’artista in sede preparatoria. Infatti, osservando la zona relativa al tendaggio, alle spalle della figura della Marchesa, e quella del cornicione, sulla sinistra della composizione, si possono notare delle indicazioni, poste dall’artista stesso, per guidare la colorazione dell’opera finale: mentre sulla tenda si può leggere la scritta “Root”, ossia “rosso” in fiammingo, sul cornicione e sotto il primo capitello leggiamo “gout/goudt”, ossia “oro”. Purtroppo, il dipinto venne tagliato nel corso dell’Ottocento e ridotto sia in altezza che in larghezza, probabilmente per adattare le sue dimensioni ad un nuovo spazio (e quindi ad una nuova cornice), eliminando così la parte bassa relativa ai piedi della figura e quella a sinistra, in cui avrebbe dovuto trovarsi il resto del cornicione e la finale apertura verso l’esterno.

Collaboratore Sebastian Victor Vug

NOTE

– 1. Doria, G., “Un pittore fiammingo nel secolo dei genovesi”, in Rubens e Genova, 1978, Genova, p. 13

– 2. Orlando, Anna, (a cura di), Van Dyck e i suoi amici. Fiamminghi a Genova 1600-1640, catalogo della mostra (Genova, Palazzo della Meridiana, 9 febbraio – 10 giugno 2018), 2018, Sagep editori, Genova, p. 15

BIBLIOGRAFIA

– Van Dyck a Genova Electa a cura di Susan J.Barnes Piero Boccardo Clario di Fabio Laura Tagliaferro

– Bora, Giulio, Fiaccadori, Gianfranco, Negri, Antonello, Nova, Alessandro (a cura di), “I luoghi dell’arte. Dall’età della Maniera al Rococò.”, vol. 4, 2003, Electa e B. Mondadori, Milano

– Orlando, Anna, (a cura di), Van Dyck e i suoi amici. Fiamminghi a Genova 1600-1640, catalogo della mostra (Genova, Palazzo della Meridiana, 9 febbraio – 10 giugno 2018), 2018, Sagep editori, Genova

SITOGRAFIA

https://www.nga.gov/collection/art-object-page.46159.html, ultima consultazione 10/11/2018

IMMAGINI

– Figura 2: Pieter Paul Rubens, Marchesa Brigida Spinola Doria, 1606, olio su tela, 152,5 x 99 cm, National Gallery of Art, Washington

– Figura 3: Pieter Paul Rubens, Studio per il ritratto della Marchesa Brigida Spinola Doria, penna, inchiostro marrone e acquarello, 315 x 178 mm, The Morgan Library and Museum, New York